Un romanzo che dal titolo esprime già una storia gelida e sinistra, lasciando che sia il lettore ad addentrarsi in quello che nasconde. E’ la storia di un uomo che ormai ha smesso di essere un ragazzo, scontrandosi con tutte le illusioni che si sono trasformate in delusioni, costruendo tutto intorno alla propria vita una gabbia di rassegnazione e disillusioni. Il protagonista è un quarantenne, con un travagliato dramma familiare alle spalle, il sogno mai realizzato di poter essere un artista creativo, e sul cuore il peso della fine della propria storia d’amore con il quale confrontarsi continuamente. Un scontro terribile con la propria realtà professionale: l’autista dello scuolabus del suo paesino sperduto nella pianura bolognese. Luogo dove la nebbia e il vuoto sono protagonisti, come veri e propri personaggi di questa narrazione, dove la rassegnazione spinge il protagonista a dare un nome al proprio pulmino: silenzioso compagno delle sue sventure. Il protagonista, schiacciato in questo vortice di elementi avversi, arriverà ad una progressiva perdita di contatto con la realtà, culminando il gesti e azioni quasi ridicole se osservate fuori dal contesto drammatico in cui si verificano.
Il dramma, che fin dall’inizio si può solo percepire è nascosto dietro la nebbia e il vuoto interiore del protagonista, assumendo sempre più consistenza fino ad esplodere in una realtà morbosa e pericolosa per tutti… anche per lo stesso protagonista.
E’ il secondo romanzo di Eraldo Baldini che leggo, e devo ammettere che pur essendo completamente diverso dal primo (Terra di nessuno) è riuscito a stupirmi per una narrazione gelida e profonda, dove alla fine il lettore si sente quasi coinvolto nella realtà claustrofobica di una coscienza stritolata dalla delusioni. Bellissimo il confronto della realtà emotiva del protagonista con il freddo e la nebbia della campagna bolognese.
Se fosse una canzone, “Nuvole rapide” dei Subsonica.
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