martedì 14 giugno 2011

Morto in cinque battiti – Ralph Sonny Barger con Keith e Kent Zimmerman

Il primo romanzo non autobiografico di Sonny Barger non è soltanto una storia, è qualcosa che raccoglie molti frammenti di vita, se letto dopo le altre due sue opere “Hell’s Angels” e “Corri fiero vivi libero”.
Ovviamente l’ambientazione è il “suo” mondo, quello delle motociclette e dei gruppi di biker, quello che può ritenerlo senza contraddizioni una delle voci più attendibili e autorevoli della scena MC mondiale.
La storia di John “Patch” Kinkade, membro degli Infidelz MC da ventitré anni, più della metà della propria vita, trascorsi e votati interamente alla vita del club: da prima come semplice prospect fino alla carica più ambita, quella di presidente. La narrazione vede il protagonista in fuga da se stesso, un matrimonio fallito alle spalle, e la decisione di abbandonare il suo gruppo in California per trasferirsi in Arizona, senza però lasciare gli Infidelz MC, semplicemente affiliandosi al chapter di quella zona, esprimendo con quel gesto la necessità di cambiare vita, pur senza rinnegare la propria natura.
Il passato però ritorna a bussare alla sua porta, quando a seguito dell’omicidio di un biker di quello che era stato il suo chapter fino a poco tempo prima, il nuovo presidente invoca il suo ritorno per chiarire l’episodio facendo luce su dei contorni troppo confusi ed incomprensibili in un ambiente che aveva finalmente raggiunto un equilibrio tra tutti i gruppi presenti in quella zona.
La storia è un intreccio di personaggi e vicende personali con continui colpi di scena, che in più di un’occasione mettono a repentaglio la vita stessa del protagonista, che in ogni occasione riesce sempre a far prevalere il suo sangue freddo e la sua determinazione. Gli episodi che si susseguono e dipanano progressivamente una matassa di intrighi, soffiate, traditori, e aggressioni, svelano in realtà la vera anima del protagonista che vota la propria esistenza alla fratellanza con gli altri membri del proprio club, trasformando gli Infidelz MC nella chiave della propria esistenza, dove un tradimento verso il gruppo diventa una macchia indelebile, un affronto troppo grande da accettare, anche se il traditore è un amico con il quale si sono condivisi anni di vita.
Il romanzo è davvero bellissimo, anche se si percepisce che la mano di Sonny sia stata aiutata dai Zimmerman per la presenza di una serie di particolari, troppo romanzati e holliwoodiani, per una storia di strada scritta da chi situazioni come quelle narrate le ha vissute sulla propria pelle: la bellissima LiLac, e l’episodio marginale del cattivo Enrique, ad esempio, sono dettagli troppo televisivi che non c’entrano molto con il contesto della narrazione.
Meravigliosa l’ambientazione: Oakland in California, proprio la stessa città dove l’autore è cresciuto formando la propria personalità, in un ambiente che in tutta la vita lo ha visto protagonista, costruendo con le proprie mani il prestigio e la fama degli Hell’s Angels MC, che proprio da quell’angolo di America cominciarono a muovere i primi passi. I nomi degli MC che compaiono nella narrazione sono ovviamente tutti di fantasia, anche se l’ambientazione è fin troppo reale.
La lettura è velocissima e la narrazione incalzante e avventurosa, anche se sinceramente mi sento di consigliarne la lettura a coloro che possiedono già una conoscenza della cultura biker e che magari abbiano già letto l’autobiografia dell’autore, alla quale questo romanzo può soltanto aggiungere suggestioni e dettagli ulteriori: diversamente sembrerebbe soltanto una storiella avventurosa, magari utile suggerimento per la sceneggiatura di un B-Movie d’azione. Purtroppo, unica nota negativa, si percepisce un discreto numero di errori di traduzione sui dettagli delle motociclette e sull’abbigliamento dei protagonisti.
Il romanzo mi è piaciuto moltissimo e inoltre non è privo di riflessioni importanti, che lasciano percepire al lettore che la mano dell’autore non è mossa da esercizi narrativi, quanto piuttosto da un profondo senso di appartenenza ad una cultura diversa e parallela dalla dimensione sociale attuale, dipingendone i protagonisti come la trasposizione contemporanea dei vecchi cowboy, sottolineando sempre che nascosti dietro l’icona dei “brutti sporchi e cattivi”, esistono anche sentimenti e animi nobili che la società superficiale e bacchettona preferisce ignorare in nome di un perbenismo fatto alla fine di tanta apparenza.
Ripropongo un passo che ritengo molto significativo:
Mettere il club davanti alla famiglia era una delle scelte più difficili che si chiedevano ad un membro prima di consegnargli le insegne (i colori – n.d.r.). I momenti della verità erano quelli più duri in cui si dovevano indossare i propri colori. Alcuni dei membri migliori erano entrati a far parte del club dopo aver scontato del tempo in prigione o nell’esercito. Avevano sperimentato la fratellanza e il cameratismo attraverso la violenza e lo scontro. Patch aveva messo in guardia i più giovani molte volte: entrate nel club e forse carne della vostra carne, il vostro stesso sangue (familiari, genitori, fratelli e sorelle) potrebbero voltarvi le spalle.
Se fosse una canzone “Lose yourself” Eminem.

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