giovedì 28 febbraio 2019

La casa sull’abisso – William Hope Hodgson

Questo romanzo scritto nel 1908 è a tutti gli effetti una pietra miliare della letteratura onirico/fantascentifica, in quanto propone per primo tematiche che nei decenni successivi incendieranno letteralmente questi generi.
Non c’è solo paura, ma anche azione vera e suggestione fantascientifica sugellate in una narrazione serrata e incantevole.
La storia prende in esame il rinvenimento da parte di due campeggiatori nella brughiera nord-irlandese di un vecchio manoscritto, ritrovato da questi, tra i ruderi di una vecchia costruzione presente su uno sperone di roccia affacciato su un oscuro e profondissimo abisso. Il romanzo è la lettura di questo documento autobiografico, nel quale l’ultimo abitante della casa racconta una serie di fenomeni avvenuti a partire dalla notte del venti gennaio di molti decenni prima, sempre più inspiegabili e terrificanti nei quali la casa manifesta la sua vera natura in grado di turbare e sconvolgere per la presenza sempre più ingombrante e malefica dell’abisso sul quale è costruita. La fonte del male è quella, che con la sua oscurità tiene in assedio il misterioso narratore in una dimensione fatta di angoscia e paura allo stato puro. Il narratore vede con i proprio occhi e vive sulla propria pelle il confine sottile tra lucidità e pazzia in una dimensione dove tempo, luogo, angoscia e paura si fondono in un tutt’uno.
Il romanzo è molto breve, ma la lettura è velocissima per la sua rappresentazione estremamente incalzante e serrata. Magistrale il racconto dell’assedio da parte delle creature umanoidi, degno di uno dei migliori romanzi action di Ellmore…
Nel romanzo sono pressochè assenti i dialoghi e il silenzio con lo spietato confronto con la coscienza del narratore rende l’atmosfera ancora più spaventosa e angosciante: l’angoscia infatti è uno dei veri protagonisti di questo libro, che strangola tutti, dal narratore ai due campeggiatori. La conclusione trasmette al lettore un senso di sollievo, come in quei film horror dove lo spettatore esorcizza la propria paura con l’assoluta certezza che egli al posto del protagonista non si sarebbe mai cacciato in un guaio del genere: i campeggiatori protagonisti sono infatti tutti i lettori, e il riconoscersi in modo così diretto trasmette ancora più paura per la minaccia che incombe nascosta nella nebbia intorno a quell’oscura voragine.
Mi è piaciuto tantissimo e ne consiglio la lettura veramente a tutti per l’incredibile capacità dell’autore di offrire tematiche estremamente attuali e “alla moda” nonostante il romanzo sia stato scritto nel 1908.
Meraviglioso l’intreccio iniziale con il ritrovamento del manoscritto, la successiva sua lettura e l’angosciante e indimenticabile finale.
Ripropongo un passo:

Ora eravamo nel folto degli alberi, e io mi guardavo attorno con apprensione; ma non vedevo altro che rami, tronchi immobili e cespugli aggrovigliati. Proseguimmo ancora, e nessun rumore ruppe il silenzio, fuorché, ogni tanto, lo scricchiolio di un ramo spezzato sotto i nostri piedi. Pure, nonostante il silenzio, avevo l'orribile sensazione che non fossimo soli; e camminavo così vicino a Tonnison che un paio di volte lo feci addirittura
inciampare; ma non protestò. Un minuto, un altro, e finalmente eccoci fuori della boscaglia, nel nudo paesaggio roccioso. Soltanto allora riuscii a scuotermi di dosso la paura che mi attanagliava nel bosco. Ancora una volta, mentre ci allontanavamo, mi parve di udire un lamento lontano, e mi dissi che forse era il vento, benché la sera fosse immobile.[…] Non sarei disposto a trascorrere la notte laggiù per tutto l'oro del mondo. Laggiù c'è qualcosa d'impuro... di diabolico. È un'impressione che ho provato all'improvviso, quando tu hai parlato. Mi è parso che il giardino fosse pieno di presenze abbiette... mi capisci?

Se fosse una canzone, “Back in black” degli ACDC

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