Un romanzo che la critica definisce “minore”, di colui che personalmente considero il mio scrittore preferito… anche se l’aggettivo “minore”, sinceramente, mi riesce difficile da accettare. E’ sicuramente lontano dalle narrazioni a Steinbeck più famose, ma è certamente un grande romanzo pur essendo molto breve.
E’ la storia di un piccolo paese della Norvegia che durante la Seconda Guerra Mondiale subisce l’invasione da parte di un battaglione tedesco: e la storia è quella ormai famosa fatta di occupazioni, rappresaglie e violenza alla stato puro. L’invasione è motivata dallo sfruttamento di un giacimento di carbone, che per la pacifica cittadinanza si traduce in una vera e propria riduzione in schiavitù. Il romanzo è questo: il senso di riscatto, anche quando tutto sembra impossibile, anche quando non si ha il coltello dalla parte del manico.
I personaggi, come sempre nei romanzi di Steinbeck, sono meravigliosi, e soprattutto il sindaco e la sua governante riescono a donare al lettore un’interpretazione dei fatti vista con occhi diversi e opposti: la razionalità fredda e audace del sindaco, e il coraggio incosciente e sfrontato della sua cameriera. Tutto, inseguendo il sogno della libertà, un ideale che trasforma le prede in predatori, descrivendo in maniera magistrale il terrore della morte che non risparmia nemmeno l’invasore prepotente e aggressivo. Una storia che esalta le paure, i limiti e soprattutto il senso di reazione dell’uomo.
Un’altra Resistenza, ma per certi versi identica a quanto successo in Italia negli stessi anni, dove i protagonisti erano animati dalle stesse emozioni e paure: riflessioni di vita che non lasciano vincitori ne vinti, ma solo combattenti.
La narrazione è velocissima, e leggendo si rimane letteralmente assorbiti e rapiti dalla lettura, che anche in considerazione delle poche pagine dell’opera dura veramente pochissimo.
Se fosse una canzone, per gli argomenti trattati, sicuramente l’indimenticabile “Bella ciao”.
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