Il titolo di questa biografia non lascia spazio ad interpretazioni, e in poche parole raccoglie tutto lo sgomento e la disperazione della più imponente e sanguinosa disfatta bellica che l’Italia ha subito nella Seconda Guerra Mondiale.
L’autore propone dopo una breve propria presentazione il racconto scritto dal padre Alfonso, di proprio pugno, dell’esperienza vissuta durante il servizio militare, che lo ha costretto per più di tre anni lontano di casa, confinandolo in una dimensione disumana e irreale ai limiti della sopravvivenza.
La storia comincia con piacevoli ricordi di infanzia e adolescenza trascorse nel paese natale, Intermesoli sull’Appennino abruzzese alle pendici del Gransasso. E poi la chiamata alle armi negli alpini alla Brigata Julia e la partecipazione alla terribile campagna i Russia.
Il racconto diventa sconvolgente, nonostante vengano volutamente omessi i dettagli più macabri assume un’incisività tremenda, riuscendo a trasmettere al lettore un incredibile senso di angoscia e sgomento, forse anche a causa di alcune premesse che sottolineano come la durezza di quei momenti non fosse nulla rispetto a quanto la vita avrebbe riservato al protagonista nei mesi a venire.
La guerra “finisce”, e comincia la deportazione con massacranti marce in mezzo al nulla a -45 gradi sottozero, con i soldati che incalzavano il ritmo per coloro che camminavano, e “lasciavano andare” quelli che non vi riuscivano: tanto in mezzo alla steppa, senza cibo, senza acqua (perché mangiare la neve non serve) a quelle temperature restare indietro voleva dire morire.
E poi l’arrivo al terribile campo di Tambov da dove per puro caso il protagonista riesce ad essere allontanato dopo soli tre mesi ad un pelo dalla fine, quando ormai il corpo e l’animo erano stremati.
Commovente il ritorno a casa, e soprattutto il ricordo di coloro che attendevano i reduci alla stazione con in mano una foto del proprio figli/marito/fidanzato e la speranza che qualcuno di quei sopravvissuti potesse custodirne qualche informazione.
E’ una lettura veramente forte, scritta con parole semplici e dirette, che forse anche per questo colpiscono come un pugno in faccia. Nonostante questo ritengo che sia una lettura assolutamente indispensabile, per riconoscere onore a chi a perduto la vita in quella folle missione, e soprattutto per non dimenticare cosa significa la guerra, anche oggi, quando è una parola che non va più di moda e si preferisce chiamarla “missione di pace”.
E’ un romanzo che segna, esattamente come tante più famose quali “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern, ma che forse proprio perché meno annunciata da recensioni e commenti assume un’incisività davvero unica. La lettura è velocissima, e al suo interno parecchie foto e cartine rendono tutto ancora più reale, sottraendo alla fantasia ogni interpretazione.
Se fosse una canzone “Signore delle cime”.
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