Questo
romanzo è il viaggio d’avventura per eccellenza, rafforzato dal
maestoso connotato autobiografico e assolutamente travolgente per il
lettore, che rimane “prigioniero” di una lettura lunghissima, che
aumenta continuamente il senso di curiosità, ma anche di opprimente
claustrofobia.
Clark
propone al mondo la propria esperienza giovanile di ricerca folle e
disperata, del più infantile dei sogni, la ricerca di un tesoro, che
nel suo caso è “Il Tesoro”, quello più grande, ambito,
ricercato, insanguinato, perduto, nascosto, sognato, non trovato, mai
esistito, leggendario di tutti i tempi: l’El Dorado, la città
d’oro degli Incas.
Clark
con in mano pochissimi soldi, un equipaggiamento scarno, una mappa,
che come tutte le mappe è “autentica”, parte da Lima negli ‘40
per spingersi verso est nelle remote regioni inesplorate
dell’Amazzonia.
Ad
accompagnarlo nella delirante follia, una guida peruviana di nome
Jorge, che con stupefacente forza e costanza guida il suo compagno
nella più nobile delle missioni: cercare contatti con i temili
“brujos”, shamani in possesso di pozioni miracolose per trovare
cure medicali che la medicina non riesce a raggiungere attraverso i
percorsi tradizionali della scienza. Ovviamente, la bugia deve tenere
nascosto il vero obiettivo, in quanto sarebbe solo una minaccia in
più per il protagonista.
Comincia
così un viaggio incredibile in un crescendo di difficoltà fatte di
foreste impenetrabili, serpenti velenosi, piogge torrenziali, ma
soprattutto popolazioni che di umano hanno soltanto le sembianze:
usi, costumi, tradizioni, ma soprattutto un’incredibile violenza,
fatta di sangue e assenza assoluta del concetto di pietà. Si assiste
quindi a punizioni tribali, torture, mutilazioni, uccisioni,
decapitazioni, pratiche di riduzione di teste mozzate, proposte in
modo assolutamente originale, ma sempre fastidioso e disgustoso…
purtroppo la considerazione che sia tutto successo davvero non
distrae mai il lettore.
La
lettura è lunga e spesso si percepisce la volontà dell’autore a
rallentarne il ritmo, perché una delle minacce più spaventose è
stata proprio l’isolamento temporale in una dimensione nella quale
lo scorrere stesso del tempo subiva accelerazioni improvvise o
sfiancanti rallentamenti.
Il
romanzo, entusiasma, spaventa, annoia, incuriosisce, suscitando
emozioni continue che non fanno abbandonare mai la lettura.
Soprattutto fa riflettere molto su concetti quali libertà, identità
culturale, tradizioni, vita/morte, ma prima su tutte la sete di
ricchezza (soldi, fama, successo) quale motivazione per mettere in
discussione la propria vita, subordinandola come sacrificio per
giusta causa al mitico traguardo.
Mi
è piaciuto, ma non posso dire che sia una lettura semplice, in
quanto pur parlando di un viaggio, non si riesce a classificare come
romanzo di viaggio, in quanto troppi elementi prevalgono sulle
intenzioni del protagonista.
Se
fosse una canzone, “Run to the hills” degli Iron Maiden.
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