Eccovi un altro romanzo di viaggio: il genere di lettura che più preferisco. In quest’opera si tratta di un viaggio attraverso gli USA, inseguendo una motivazione più unica che bizzarra: l’autore, irlandese di Dublino, parte per un viaggio la cui meta (o forse, la cui scusa…) è visitare le cittadine americane che portano lo stesso nome della sua amata città.
Un viaggio attraverso il “grande paese” per eccellenza, dove emergono con sottile ironia una moltitudine di contraddizioni, tipiche di una società estremamente edonista e consumista. Le cittadine che il protagonista attraversa, sono spesso delle non-città, con regole e divieti apparentemente assurdi per una società evoluta come quella americana.
Il tema della narrazione è anche uno spunto per parlare dell’immigrazione irlandese avvenuta verso gli Usa nei secoli passati: una specie di viaggio al contrario… se gli emigranti cercavano la fortuna e il benessere, ora l’autore cerca le tracce di quel passato, trovando spesso una apparente negazione di quelle origini offrendo l’occasione di trattare anche temi profondamente americani: come il mito di JFK o Billy the Kid.
Il tema della narrazione è anche uno spunto per parlare dell’immigrazione irlandese avvenuta verso gli Usa nei secoli passati: una specie di viaggio al contrario… se gli emigranti cercavano la fortuna e il benessere, ora l’autore cerca le tracce di quel passato, trovando spesso una apparente negazione di quelle origini offrendo l’occasione di trattare anche temi profondamente americani: come il mito di JFK o Billy the Kid.
Bellissima l’introduzione di ogni capitolo, dove viene proposto uno stralcio di antiche corrispondenze tra gli emigranti in terra americana e le famiglie rimaste nel paese natio: un’ulteriore affresco di quella che è stata l’America, vista attraverso gli occhi di chi americano non era ancora.
Se fosse una canzone, “Sunday bloody Sunday” degli U2.
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