martedì 26 aprile 2011

Storie del Wyoming – Annie Proulx

Il titolo svela immediatamente il vero e unico grande protagonista di questa raccolta di undici racconti: il Wyoming, lo stato americano più selvaggio, aspro, e poco urbanizzato dell’unione. Le grandi e immense praterie, le aspre montagne, con parchi, laghi, canyon e un intreccio di strade e piste poco battute semisconosciute, fanno da cornice alle storie di personaggi duri e unici che incarnano lo stesso spirito dei pionieri della corsa all’Ovest di oltre un secolo fa.
Tutte le storie ruotano intorno alla cittadina di Elk Tooth, e all’intreccio di relazioni tra le poche persone che vi vivono: dal camionista alcolizzato, al guardaparco, al rampante uomo di successo che abbandona la città per le praterie del Wyoming.
I racconti trattano le tematiche più svariate, ma tutti sottolineano la durezza del luogo. In “L’effetto stillicidio” l’autrice presenta una donna che con coraggio e caparbietà gestisce il proprio ranch, confrontandosi con l’ostilità della natura e con un’economia troppo lontana dai ritmi della terra, che la costringerà ad affidarsi alle promesse di un camionista alcolizzato per riuscire ad acquistare il fieno per il proprio bestiame in una stagione troppo arida per rinunciarvi.
Uomo che striscia fuori dagli alberi” invece racconta le difficoltà, ma anche le immense soddisfazioni di una coppia di città, che raggiunto l’apice del successo professionale, decide di abbandonare la frenetica metropoli per immergersi in una natura così diversa e lontana da ogni immaginazione. Per lui, un’immensa soddisfazione fatta di contemplazione e lavori pesanti, ma per lei la durezza di un ambiente troppo diverso, fatto di solitudine e troppi silenzi, che porterà la coppia a sfaldarsi, lasciando al lettore un senso di delusione, colmato in parte dalla realizzazione del protagonista, completamente rapito nella sua nuova dimensione, intento a muoversi sul suo vecchio fuoristrada su piste semisconosciute.
Ne “La gara” si racconta di una sfida, nata al bancone di un bar (ma che assomiglia tanto ad un fumoso saloon) tra gli avventori, consistente nel lasciarsi crescere la barba per tutto l’inverno e coinvolgendo progressivamente quasi tutto il paese: dall’anziano negoziante, al ragazzino poco più che adolescente. Un sfida banale, ma allo stesso tempo un passatempo concreto lontano dagli stereotipi dei divertimenti metropolitani, e capace si suscitare grandissimi entusiasmi. Tutte emozioni seriamente compromesse un giorno di primavera, quando ad Elk Tooth approda un nuovo residente, fuggito dalla città per godersi gli ultimi anni della sua vita: un anziano biker, che a cavallo della sua modernissima Harley-Davidson, sfoggia una barba bianchissima e molto curata che raggiunge la cintola dei pantaloni. Uno shock terribile per i partecipanti alla gara …
Il racconto che mi è piaciuto di più è stato “Il lupo di Wamsutter”. La storia di un ragazzo che dopo aver lasciato il Wyoming, in cerca di lavoro nelle grandi città, ritorna a casa nella delusione dei genitori per vederlo continuamente peregrinare in cerca di una sistemazione stabile. Una lite per banali motivi lo costringe ad allontanarsi di nuovo, per approdare a Wamsutter, un agglomerato di roulottes e baracche nei pressi di uno stabilimento di estrazione del metano. Un luogo che dalla sola descrizione sottolinea la desolazione di un fallimento sociale, dove il sogno americano non è mai arrivato e gli abitanti di questa bidonville sono solo la riproposizione contemporanea di tanti fallimenti e sconfitte subite dai primi pionieri del XIX sec. in cerca di fortuna. Il protagonista ritroverà una vecchia compagna di classe, ormai sposata con il bullo della scuola, e i loro tre figli in una condizione di indigenza ed emarginazione totale. Gli anni trascorsi hanno reso lei ancora più grassa e più brutta, e il marito soltanto più aggressivo e cattivo, in un clima di disprezzo reciproco e di violenza. In questa cornice si inserisce l’incontro con il protagonista e con un rude taglialegna amico della coppia, che degenererà nel peggiore dei modi, lasciando al lettore un senso di amarezza di fronte ad un fallimento così grande, sottolineando che non esiste soltanto l’Ovest dei film di John Wayne, fatto di eroi e di lieti fine.
La raccolta è davvero molto bella, anche se spesso alcuni racconti risultano un po’ enigmatici, sottolineando ancora una volta la natura un po’ ermetica di persone che vivono un luogo così unico e particolare. Mi sento di consigliarne la lettura davvero a tutti, ma soprattutto a chi vive un rapporto molto intenso con la natura e gli spazi incontaminati o poco segnati dalla presenza dell’uomo.
Se fosse una canzone: la stupenda e struggente “I’ll go on loving you” di Alain Jackson

martedì 19 aprile 2011

Una passeggiata nei boschi – Bill Bryson

A dispetto del titolo, quest’opera è la cronaca di una vera e propria impresa: un’escursione a piedi lungo l’Appalachian Trail, un sentiero che percorre gli Stai Uniti da Nord a Sud passando attraverso quattordici stati, e scenari spesso molto diversi tra loro, per una lunghezza di tremilaquattorcento chilometri. Il romanzo è scritto secondo i classici connotati di un romanzo di viaggio, ma non si ha mai l’idea di leggere una guida turistica.
E’ la storia, autobiografica, dell’impresa che l’autore compie con un amico, cimentatosi in quest’avventura a piedi e con lo zaino in spalla senza la benché minima preparazione. Le difficoltà incontrate spaziano dal clima, alle insidie della foresta, sottolineando la grandezza della natura e l’immenso rispetto che l’uomo deve sempre concederle. La narrazione è molto divertente, ironica, e anche molto riflessiva, in grado di sottolineare in modo molto sottile quelli che possono essere rischi enormi da mettere, in grado di mettere a repentaglio la vita stessa.
Quello che colpisce davvero è l’entusiasmo di Bryson, che attraverso la sua narrazione scanzonata e amichevole riesce a trasmettere al lettore, evocando un’immensa voglia di buttarsi uno zaino in spalla e partire, assaporando in questo modo un contatto con la natura troppo spesso compromesso dalle comodità del turismo contemporaneo.
La narrazione è velocissima e scorrevole, allietata continuamente dalla pungente ironia dell’autore e del suo irresistibile compagno Katz.
Mi è piaciuto molto, anche se devo ammettere che durante la narrazione venga evidenziato troppo poco l’aspetto della stanchezza fisica, banalizzando, quasi, quella che è a tutti gli effetti un’impresa riservata a persone dotate di un certo allenamento e una discreta predisposizione alla fatica.
Lo consiglio a tutti, ma attenzione a non farsi rapire dall’entusiasmo perché il rischio di prendere l’indispensabile e partire è davvero concreto!!!
Se fosse una canzone, “Pretty fly (for a white guy)”, degli Offspring.

martedì 12 aprile 2011

Storie di inverno – Giorgio Celli, Francesco Guccini, Valerio Massimo Manfredi

Questo libro è una raccolta di racconti inconsueti e profondi accomunati tutti dal grande ruolo ricoperto dall’inverno, che durante le tre narrazione assume un ruolo di vero e proprio protagonista: né buono, né cattivo, semplicemente presente, soltanto impietoso e gelido.
Il cane di Natale – Giorgio Celli. La storia di un uomo travolto dal dolore per la scomparsa prematura del figlio, che rimane presente nella vita quotidiana per l’ingombrante dolore del cane, abbandonato insieme all’unico genitore rimastogli. Il confronto tra i due è terribile: ognuno con il suo dolore, con i propri lamenti, ognuno terribilmente solo. Lo scontro è inevitabile, fino a far maturare l’idea all’uomo di sbarazzarsi della bestia approfittando dei servizi di un maldestro e spietato vicino di casa. Il rimorso per il gesto spingerà il protagonista da una folle avventura per un uomo della sua età, fino ai confini della ragione, in un inverno così freddo da gelare anche la più spietata delle coscienze.
La cena – Francesco Guccini. Il grande cantautore regala uno splendido ritratto della vita contadina di inizio ‘900, in un paesino delle colline tosco-emiliane. Un grande ritratto, progressivamente sempre più dettagliato sui personaggi protagonisti della storia, soltanto piccoli attori nel grande quadro della vita, dove le sventure, i dolori, la guerra sono purtroppo gli episodi che segnano di più le esistenze. Ma la vita non è solo disavventure e sofferenza, e il centro di questo racconto, una cena tra amici, ne è proprio la dimostrazione: un incrocio di vite, in grado di rendere unico e indimenticabile un momento apparentemente banale nella vita di quattro ragazzi qualunque. Ovviamente in una sera di gelido inverno.
Hotel Bruni – Valerio Massimo Manfredi. L’epopea di una numerosa famiglia di mezzadri della provincia di Bologna degli inizi del ‘900, raccontata attorno al grande ruolo svolto dalla grande casa di campagna: rifugio, ritrovo, luogo di lavoro, e anche occasione di incontro: “Hotel Bruni” appunto; per la grande ospitalità che i Bruni (nonostante la loro povertà) concedevano a viandanti e bisognosi, accogliendo tutti nella grande stalla, che, nelle sere di inverno, diventava luogo di incontro e di ritrovo intorno a racconti e storie. E’ la storia di una famiglia, segnata dal dolore della guerra, e dagli allontanamenti forzati per le persecuzione fasciste ai danni di dissidenti politici, assumendo quasi i tratti della saga dei vinti celebrata dal Verga ne “I Malavoglia”, soprattutto nella conclusione ambientata in una buia e fredda notte di inverno sferzata da una tormenta di neve.
Tre racconti diversi, ma certamente attuali per la profondità delle narrazioni, e importanti per le riflessioni sull’animo umano. Quello che ho preferito di più, sicuramente “Hotel Bruni”, per la sua cruda realtà, e il suo spietato confronto tra le disavventure della vita e la forza d’animo delle persone, spesso animate da grandi contraddizioni, ma capaci di grandi sentimenti.
Se fosse una canzone “Another day in paradise” dei Genesis.