mercoledì 22 giugno 2011

Bolidi. Quando gli italiani incontrarono le prime automobili – Giorgio Boatti

Questa lettura è un saggio sulla nascita delle automobili e sui grandi stravolgimenti che hanno portato alla società trasformandola radicalmente.
L’autore propone la storia dalle origini, senza tralasciare nessuno dei protagonisti che fecero di un oggetto di costume, unicamente privilegio dei ricchi, un mezzo di trasporto, che in pochi anni avrebbe soppiantato la trazione animale. Molto interessante l’influenza delle corse e del fascino che la competizione è stata in grado di trasmettere a tutti i protagonisti, celebrati come pionieri ed eroi: si parla naturalmente della Fiat, ma anche di altri marchi meno noti, che con mezzi leggendari come la mitica Well Eyes permisero a giovani intraprendenti come i fratelli Ceirano di dare visibilità e spettacolo ad un mondo che poco per volta affascinava e coinvolgeva sempre più persone.
Il saggio è questo e molto di più: un’analisi approfondita di tutti i problemi che le prime automobili portavano come conseguenza del proprio passaggio: la pericolosità di strade prive di segnaletica, l’assenza di un codice comportamentale, la disperata necessità di persone capaci di aggiustarle, e non ultimo di rifornirle di carburante.
Ritengo sia una lettura molto interessante, ma mi sento di consigliarla solo a chi veramente incuriosito dall’argomento, considerando un saggio più uno studio che un passatempo.
Considerato il periodo storico in cui prende forma questo nuovo mezzo di trasporto, mi piace associare questa lettura a “Zang Tumb Tumb”, poesia di Filippo Tommaso Marinetti, artista e padre del Futurismo, movimento artistico e letterario che  proprio in quegli anni, come l’automobile, muoveva i primi passi.

venerdì 17 giugno 2011

Il vecchio e il mare – Ernest Hemingway

Questo romanzo è considerato uno dei grandi classici delle letteratura mondiale e universalmente accettato come una delle più tradizionali letture scolastiche da proporre agli adolescenti. Non so per quale disegno del destino io sia rimasto escluso da questa “tradizione”, ma ora dopo averlo letto a abbondantemente nei “trena” non posso che esserne contento, in quanto ritengo sia una lettura talmente ricca di suggerimenti e inviti a riflessioni molto profonde, che a sedici anni avrei finito per banalizzarla come un breve racconto di avventura.
Il romanzo è la storia, ambientata nella Cuba degli anni ’30, di Santiago, un anziano pescatore ottantenne, che per giorni e giorni esce a pesca con un ragazzino, al quale dopo numerose giornate di totale assenza di pescato, viene vietato dai genitori di continuare ad uscire con l’anziano amico. Santiago però non demorde, convinto della sua natura di pescatore anche quando il Destino vuole che il mare sia avaro di soddisfazioni, e l’età comincia a far pesare tanti anni di vita dura. Per chissà quale scherzo del destino però, un grosso pesce spada abbocca costringendo il protagonista a mille tribolazioni prima di riuscire ad uccidere l’animale e ad issarlo ad una fiancata della piccola imbarcazione: il pesce è troppo grosso perché Santiago possa caricarlo a bordo da solo, rimpiangendo continuamente l’assenza del suo giovane amico. Purtroppo la soddisfazione del trionfo dura molto poco, in quanto tre giorni in mare hanno allontanato il pescatore dalla costa e durante il rientro la presenza del grosso pesce viene notata da numerosi squali, che in più riprese attaccano l’animale, nonostante la lotta disperata del protagonista che armato di coraggio, caparbietà e determinazione cerca di respingere i predatori utilizzando le poche risorse a sua disposizione.
Il romanzo è la storia di un trionfo che pesa molto più di una sconfitta, in quanto una volta rientrato a terra dell’enorme pesce saranno rimaste soltanto la testa e lo scheletro: i magri avanzi dei famelici predatori. A Santiago resteranno le congratulazioni e lo stupore di tanti pescatori, ma anche la soddisfazione di non aver mai perduto l’ammirazione e la stima del suo giovane amico.
Ritengo si tratti di una lettura veramente importante, perché forse è proprio il mistero della vita, l’abilità di riuscire a non rassegnarsi di fronte ad una sconfitta, cercando sempre di gioire della propria determinazione senza arrendersi mai alle avversità e sforzandosi di trovare sempre una soddisfazione anche quando la Vita sembra non essere d’accordo.
La narrazione è molto veloce, anche se un’enorme dovizia di particolari, che sottolineano la grande passione di Hemingway per la pesca, posso rendere la lettura un po’ difficile per coloro che hanno poca dimestichezza con terminologie così approfondite.
Lo consiglio veramente a tutti, ammesso che esista ancora qualcuno che come me sia riuscito ad arrivare all’età adulta senza averlo letto prima. In particolare posso consigliare l’edizione della Oscar Mondatori, in quanto vi è una splendida postfazione di Fernanda Pivano, che arricchisce la lettura con la propria esperienza fatta a Cuba, incontrando proprio l’autore nei luoghi che hanno ispirato il romanzo.
Se fosse una canzone, “Who wants to live for ever” dei Queen.

martedì 14 giugno 2011

Morto in cinque battiti – Ralph Sonny Barger con Keith e Kent Zimmerman

Il primo romanzo non autobiografico di Sonny Barger non è soltanto una storia, è qualcosa che raccoglie molti frammenti di vita, se letto dopo le altre due sue opere “Hell’s Angels” e “Corri fiero vivi libero”.
Ovviamente l’ambientazione è il “suo” mondo, quello delle motociclette e dei gruppi di biker, quello che può ritenerlo senza contraddizioni una delle voci più attendibili e autorevoli della scena MC mondiale.
La storia di John “Patch” Kinkade, membro degli Infidelz MC da ventitré anni, più della metà della propria vita, trascorsi e votati interamente alla vita del club: da prima come semplice prospect fino alla carica più ambita, quella di presidente. La narrazione vede il protagonista in fuga da se stesso, un matrimonio fallito alle spalle, e la decisione di abbandonare il suo gruppo in California per trasferirsi in Arizona, senza però lasciare gli Infidelz MC, semplicemente affiliandosi al chapter di quella zona, esprimendo con quel gesto la necessità di cambiare vita, pur senza rinnegare la propria natura.
Il passato però ritorna a bussare alla sua porta, quando a seguito dell’omicidio di un biker di quello che era stato il suo chapter fino a poco tempo prima, il nuovo presidente invoca il suo ritorno per chiarire l’episodio facendo luce su dei contorni troppo confusi ed incomprensibili in un ambiente che aveva finalmente raggiunto un equilibrio tra tutti i gruppi presenti in quella zona.
La storia è un intreccio di personaggi e vicende personali con continui colpi di scena, che in più di un’occasione mettono a repentaglio la vita stessa del protagonista, che in ogni occasione riesce sempre a far prevalere il suo sangue freddo e la sua determinazione. Gli episodi che si susseguono e dipanano progressivamente una matassa di intrighi, soffiate, traditori, e aggressioni, svelano in realtà la vera anima del protagonista che vota la propria esistenza alla fratellanza con gli altri membri del proprio club, trasformando gli Infidelz MC nella chiave della propria esistenza, dove un tradimento verso il gruppo diventa una macchia indelebile, un affronto troppo grande da accettare, anche se il traditore è un amico con il quale si sono condivisi anni di vita.
Il romanzo è davvero bellissimo, anche se si percepisce che la mano di Sonny sia stata aiutata dai Zimmerman per la presenza di una serie di particolari, troppo romanzati e holliwoodiani, per una storia di strada scritta da chi situazioni come quelle narrate le ha vissute sulla propria pelle: la bellissima LiLac, e l’episodio marginale del cattivo Enrique, ad esempio, sono dettagli troppo televisivi che non c’entrano molto con il contesto della narrazione.
Meravigliosa l’ambientazione: Oakland in California, proprio la stessa città dove l’autore è cresciuto formando la propria personalità, in un ambiente che in tutta la vita lo ha visto protagonista, costruendo con le proprie mani il prestigio e la fama degli Hell’s Angels MC, che proprio da quell’angolo di America cominciarono a muovere i primi passi. I nomi degli MC che compaiono nella narrazione sono ovviamente tutti di fantasia, anche se l’ambientazione è fin troppo reale.
La lettura è velocissima e la narrazione incalzante e avventurosa, anche se sinceramente mi sento di consigliarne la lettura a coloro che possiedono già una conoscenza della cultura biker e che magari abbiano già letto l’autobiografia dell’autore, alla quale questo romanzo può soltanto aggiungere suggestioni e dettagli ulteriori: diversamente sembrerebbe soltanto una storiella avventurosa, magari utile suggerimento per la sceneggiatura di un B-Movie d’azione. Purtroppo, unica nota negativa, si percepisce un discreto numero di errori di traduzione sui dettagli delle motociclette e sull’abbigliamento dei protagonisti.
Il romanzo mi è piaciuto moltissimo e inoltre non è privo di riflessioni importanti, che lasciano percepire al lettore che la mano dell’autore non è mossa da esercizi narrativi, quanto piuttosto da un profondo senso di appartenenza ad una cultura diversa e parallela dalla dimensione sociale attuale, dipingendone i protagonisti come la trasposizione contemporanea dei vecchi cowboy, sottolineando sempre che nascosti dietro l’icona dei “brutti sporchi e cattivi”, esistono anche sentimenti e animi nobili che la società superficiale e bacchettona preferisce ignorare in nome di un perbenismo fatto alla fine di tanta apparenza.
Ripropongo un passo che ritengo molto significativo:
Mettere il club davanti alla famiglia era una delle scelte più difficili che si chiedevano ad un membro prima di consegnargli le insegne (i colori – n.d.r.). I momenti della verità erano quelli più duri in cui si dovevano indossare i propri colori. Alcuni dei membri migliori erano entrati a far parte del club dopo aver scontato del tempo in prigione o nell’esercito. Avevano sperimentato la fratellanza e il cameratismo attraverso la violenza e lo scontro. Patch aveva messo in guardia i più giovani molte volte: entrate nel club e forse carne della vostra carne, il vostro stesso sangue (familiari, genitori, fratelli e sorelle) potrebbero voltarvi le spalle.
Se fosse una canzone “Lose yourself” Eminem.

giovedì 9 giugno 2011

Il deserto dei tartari – Dino Buzzati

Questo romanzo è solitamente una delle proposte più classiche per le letture di narrativa scolastica: purtroppo in adolescenza è abbastanza raro trovare le capacità di comprenderlo e apprezzarlo in tutto il suo immenso valore.
Il romanzo è la  storia semplice di un uomo che non ha nulla di eroico se non la volontà di attendere grandi cose dalla propria vita: il giovane tenente Giovanni Drogo, che viene assegnato temporaneamente ad una fortezza di confine, estremo baluardo di una difesa che non deve conoscere punti deboli di fronte ad un nemico che nessuno ha mai visto.
La fortezza Bastiani, è isolata in mezzo alle montagne, ed affacciata verso una landa desolata che ricorda con la sua ingombrante presenza l’assurdità che la guerra costituisce, inventando minacce e paure in grado di condizionare vite intere.
L’atmosfera quasi claustrofobica, e le grandi ambizioni, alimentate anche da modelli di ufficiali più anziani, arrivano a rapire e condizionare le volontà del protagonista, che poco per volta, anno dopo anno rimane sempre più attaccato in una simbiosi quasi morbosa con quella dimensione militare che lo allontana sempre di più dalla vita normale. Le brevi licenze si fanno sempre più rare, ed ogni volta è sempre più doloroso il confronto con una realtà così diversa da quella del proprio ruolo militare.
Il richiamo della Fortezza è sempre più forte, alimentato dalla convinzione che la guerra debba per forza arrivare, e con essa la giustificazione legittima di una vita spesa ad inseguire un sogno.
Struggente il passo in cui Drogo, dopo decenni di servizio, rientrando da una licenza incontra un giovane ufficiale diretto alla Fortezza, ripercorrendo a ruoli invertiti la stessa situazione che lo aveva visto protagonista con un anziano capitano il giorno del suo arrivo: la vita è passata e quel sogno perverso non si è mai avverato.
La metafora del romanzo diventa evidente quando la guerra arriva sul serio e il protagonista, ormai troppo vecchio e malato, deve lasciare il forte per andare a morire da solo in una locanda come un qualunque civile. La vita è passata, definitivamente… e con essa tutti quei sogni scrutati per tanti anni con un vecchio cannocchiale sul filo dell’orizzonte, immaginando più che guardando…
E’ il primo romanzo che rileggo per la seconda volta, in quanto a sedici anni era soltanto una storia, ma ora con la vita che comincia a proporre i primi bilanci diventa uno spunto riflessivo, che coinvolge ben oltre una semplice storia militare, proponendo con acceso entusiasmo la lotta del tempo contro la vita: uno scontro dove il risultato migliore può essere soltanto un equilibrato compromesso.
Il romanzo mi è piaciuto tantissimo, per la scorrevolezza decisa, e soprattutto per la forza di alcune riflessioni, che assumono un’incisività talmente profonda da fermare la lettura con meditazioni individuali. In particolare, ripropongo alcuni passi particolarmente incisivi:

Drogo però non lo sapeva, non sospettava che la partenza gli sarebbe costata fatica, né che la vita della Fortezza inghiottisse i giorni uno dopo l’altro tutti simili, con velocità vertiginosa. Ieri e l’altro ieri erano eguali, egli non avrebbe più saputo distinguerli; un fatto di tre giorni prima o di venti finiva per sembrargli egualmente lontano. Così si svolgeva alla sua insaputa la fuga del tempo.

Nessuno c’era che gli dicesse “Attento, Giovanni Drogo!”. La vita gli appariva inesauribile, ostinata illusione, benché la giovinezza fosse già cominciata a sfiorire.

<<Ho saputo accontentarmi>> diceva il maggiore accorgendosi dei pensieri di Drogo. <<Anno per anno ho imparato a desiderare sempre meno. Se mi andrà bene, tornerò a casa col grado di colonnello>>.

E a più di quarant’anni, senza aver fatto nulla di buono, senza figli, veramente solo nel mondo, Giovanni Drogo si guardava attorno sgomento, sentendo declinare il proprio destino.

Ritengo che sia una lettura indispensabile quanto fondamentale e lo consiglio davvero a tutti: in particolare a coloro che inseguono un sogno.
Nel 1976 è stato anche realizzato un film, quale trasposizione cinematografica della storia, per la regia di Valerio Zurlini e tra gli attori Giuliano Gemma e Vittorio Gassman: come sempre accade pur essendo ben fatto è assolutamente inferiore al romanzo, offrendo un’incisività che solo chi ha letto l’opera originale può percepire.

Se fosse musica, il “Silenzio” suonato nella versione fuori ordinanza di Nini Rosso.