mercoledì 26 ottobre 2011

Cold Spring Harbor – Richard Yates

Yates, quello che definisco un altro mostro sacro della letteratura americana. Con questo romanzo, uno dei più famosi, ma da molti ritenuto il migliore, propone un ritratto dell’America di provincia durante i difficili e convulsi anni della Seconda Guerra Mondiale, raccontando le vicende di due famiglie che si incontrano e si accavallano secondo i destini, comunque già scritti, dei rispettivi protagonisti.
E’ la storia di Evan Shepard, giovane ribelle e inquieto, che conosce per caso Rachel Drake, ragazza umile e sola, illudendo e prospettando una vita che egli non avrà mai, continuamente condizionato dai suoi errori e vittima di equilibri familiari comunque compromessi. Il legame sentimentale dei due giovani è l’occasione per presentare al lettore due drammi familiari, quello dei Shepard e quello dei Drake, completamente diversi, ma comunque segnati dalla disillusione di sogni mai realizzati, in una dimensione in cui il sogno stesso è una semplice vita normale, e non come sempre accade solo una gelida apparenza.
Il significato è molto profondo e si concentra tutto sul disequilibro tra apparenza serena e realtà sofferta e difficile.
Il ritmo della narrazione è volutamente lento, e offre in questo modo una percezione maggiore dei comportamenti e del carattere dei personaggi, trasmettendo un senso di continuità scenica quasi teatrale che non annoia mai il lettore.
Mi è piaciuto molto, ma ne consiglio la lettura solo agli amanti del genere, perché un significato così profondo può essere colto soltanto con una lettura attenta e dedicata: non è un romanzo da ombrellone.
Se fosse una canzone “That’s life” di Frank Sinatra.

lunedì 3 ottobre 2011

Legionario – Tony Sloane

Ecco un romanzo che è riuscito a far parlare molto di sé nonostante non sia stato scritto da un “professionista”. Tony Sloane propone la sua esperienza all’interno della Legione Straniera, il più discusso, chiacchierato, ma anche poco conosciuto corpo speciale dell’esercito francese. Negli anni si è parlato molto della durezza degli addestramenti, della difficoltà delle missioni svolte in territori di guerra lontani anche dall’attenzione dei media, ma non per questo meno pericolosi. Un motto su tutti, esprime in pieno lo spirito che anima questo corpo: Marcia o muori! Un’affermazione essenziale che racchiude in se la durezza di una dimensione ai limiti dell’umano.
Sloane propone la sua esperienza partita da un’adolescenza difficile trascorsa nella periferia inglese, in una dimensione familiare priva di qualunque riferimento educativo, e approdata per caso in un centro di reclutamento della Legione Straniera.
Il racconto si snoda per tutta la durata dei cinque anni di ferma, dall’incorporamento con la firma del contratto, al faticoso addestramento di quattro mesi a Castelnudary sui Pireni dove sono vietati tutti i tipi di contatto con l’esterno, fino alla destinazione operativa al 2° REP di Calvi in Corsica, che vedrà il protagonista/autore impegnato in ben più duri addestramenti fatti di fatica, privazioni, sacrifici, dolore e sangue, con esperienze significative anche in Africa.
Il racconto è sicuramente molto forte per gli argomenti trattati, ma la narrazione è spesso noiosa perché troppo poco romanzata per l’assenza pressoché totale di dialoghi. L’esperienza vissuta viene proposta come un lungo monologo che ne aumenta il senso di credibilità e impatto emotivo, ma privando il lettore di molti colpi di scena.
Durante la lettura si percepisce l’impatto emotivo subito dall’autore di fronte a situazioni estreme e la sua differente reazione con il passare del tempo: una specie di trasformazione che la Legione Straniera opera sul suo animo, trasformandolo da un adolescente irrequieto in una macchina da guerra priva di coscienza e animata solo da ordini e istinti.
La lettura a questo punto diventa ancora più noiosa, in quanto la normalità diventa l’alternarsi di addestramenti duri alle quali il protagonista diventa ormai allenato, con colossali bevute di alcolici, risse, prostitute, punizioni in una specie di equilibrio di follia dove tutto è avulso da una dimensione di normalità. L’istinto domina l’anima, e l’uomo perde la coscienza che lo solleva rispetto agli animali.
Mi hanno colpito a tale proposito alcuni passi che ripropongo:

Furono pronunciate parole dure, ma la cosa che più mi colpì fu la spiegazione relativa al modo corretto di suicidarsi. Al sergente non importava se qualcuno di noi voleva farla finita: l’importante era che lo facesse correttamente in modo da non far perdere tempo agli altri.

Marciavamo e marciavamo; quando trovavamo dell’acqua riempivamo con sollievo le borracce, che si trattasse di una sorgente limpida e fresca o di una pozza fangosa e calda. Avevamo bisogno di bere e avremmo bevuto qualsiasi cosa. Quando ti lasci alle spalle la civiltà non ti resta che l’istinto di sopravvivenza, e la sopravvivenza è avidità: un uomo che sta per morire di fame è pronto a rubare qualsiasi cosa anche se sa che è sbagliato e se non ignora quali saranno le conseguenze.

Tre anni prima ero un diciottenne ingenuo, adesso ero un killer. Non mi importava un accidente delle capre che uccidevamo e neppure delle persone che avevo visto morire durante l’operazione Godoria. Non pensavo più a niente non ne avevo bisogno. Volevo solo bere fare sesso e uccidere. La trasformazione era avvenuta e mi piaceva. L’aggressività era stata alimentata tanto da ribollirmi nel sangue, l’avvertivo in tutto il corpo… il mio corpo diceva <<Fottitene! Continua così! Sbattitene!>>.
Una spugna assorbe l’acqua. Tutti noi siamo il risultato dell’ambiente che ci circonda e il modo in cui siamo trattati si rivela nel modo in cui trattiamo gli altri.

Ho acquistato questo romanzo più per curiosità che per un reale interesse, scoprendo un mondo lontanissimo quanto assurdo. Pertanto non posso definire l’argomento “interessante”, in quanto un giudizio di questo tipo risente molto delle inclinazioni individuali e ne consiglio quindi la lettura a chi vuole conoscere o approfondire questo tipo di argomento. In ogni caso, non è un romanzo d’avventura, o un passatempo da leggere sotto l’ombrellone, e un’aspettativa di questo tipo lascerebbe parecchio delusi.
Se fosse  una canzone “Totentanz” di Gae Bolg.