venerdì 8 gennaio 2016

Cowboy – Ramon F. Adams



Quest’opera è un lavoro che può essere riconosciuto a metà tra un saggio storico ed una raccolta di racconti. Si tratta infatti di un ritratto molto approfondito e accurato di una figura della storia americana che, anche grazie al cinema, ha guadagnato una grande popolarità, riuscendo progressivamente a guadagnare quel valore quasi leggendario che lo allontana progressivamente dalla realtà storica collocandolo in una dimensione molto, e spesso troppo, mitizzata a scopi consumistici.
L’autore propone una spiegazione introduttiva molto accurata sull’inquadramento storico e geografico, offendo dettagli che soltanto il cinema degli ultimi anni sta cominciando a riscoprire, chiarendo che la definizione di “cowboy” non rispecchia quella caricatura con cinturone a due pistole che centra la moneta lanciata in aria. I cowboy erano ragazzi che accudivano il bestiame in lunghe traversate da sud a nord, isolati ed esposti alle intemperie, che soltanto raramente (non più di due o tre volte l’anno) toccavano qualche città approfittando per fare un po’ di baldoria.
L’autore propone poi una raccolta di racconti, estrapolati da vecchie pubblicazioni, per offrire al lettore narrazioni dirette prese proprio dai protagonisti, dando l’opportunità di confrontarsi con voci narranti differenti che proprio per caratteristiche individuali enfatizzano ed approfondiscono particolari diversi di quella realtà.
Molto suggestivo un racconto del 1887 tratto da “Two years a cowboy, 1887”, nel quale l’autore inglese che si firma soltanto “Bunny” racconta la propria esperienza fatta nel West, ed in particolare l’episodio della doma di un cavallo selvatico, che si conclude con i complimenti ricevuti direttamente dai cowboys veterani ed esperti di questo lavoro.
Molto bello anche “Il torello maculato” tratto da “A Ranchman’s Recollection, 1921”, nel quale si narra di un ragazzino di 16 anni adottato da una squadra di cowboys. Il giovane vivrà esperienze che gli consentiranno di passare dal ruolo di garzone a quello di vero e proprio cowboy, culminando con il rodeo di Stamford, evento nel quale il ragazzo si distinguerà montando un torello particolarmente “vivace”.
Propongo un passo molto suggestivo:

Tornare al campo per lui è un sollievo, e lì riacquista buon umore e buon carattere. A volte non è facile la vita all’aperto, perchè il tempo è inclemente, perché le bestie sono riottose, o i compagni di lavoro seccanti; ma quella vita consente sfrenati galoppi per valli meravigliose e per montagne, oltre all’inesauribile gioia che dà la vista di un panorama spazioso.

Alla fine del libro sono poi proposti due brani di musica popolare di quegli anni, oggi definita musica western, antesignana del country contemporaneo, con tanto di testo e spartiti.
Non penso ci sia altro da aggiungere per dire che si tratta di un libro molto bello, che per la sua divisione in racconti, si propone con una lettura molto veloce ed entusiasmante offrendo al lettore l’opportunità di scoprire particolari e verità storiche che il cinema ha da sempre sacrificato.
Se fosse una canzone la vivacissima “Thank God I’m a countryboy” dell’indimenticabile John Denver.