Questo
romanzo scritto nel 1908 è a tutti gli effetti una pietra miliare
della letteratura onirico/fantascentifica, in quanto propone per
primo tematiche che nei decenni successivi incendieranno
letteralmente questi generi.
Non
c’è solo paura, ma anche azione vera e suggestione
fantascientifica sugellate in una narrazione serrata e incantevole.
La
storia prende in esame il rinvenimento da parte di due campeggiatori
nella brughiera nord-irlandese di un vecchio manoscritto, ritrovato
da questi, tra i ruderi di una vecchia costruzione presente su uno
sperone di roccia affacciato su un oscuro e profondissimo abisso. Il
romanzo è la lettura di questo documento autobiografico, nel quale
l’ultimo abitante della casa racconta una
serie
di fenomeni avvenuti a partire dalla notte del venti gennaio di molti
decenni prima, sempre più inspiegabili e terrificanti nei quali la
casa manifesta la sua vera natura in grado di turbare e sconvolgere
per la presenza sempre più ingombrante e malefica dell’abisso sul
quale è costruita. La fonte del male è quella, che con la sua
oscurità tiene in assedio il misterioso narratore in una dimensione
fatta di angoscia e paura allo stato puro. Il narratore vede con i
proprio occhi e vive sulla propria pelle il confine sottile tra
lucidità e pazzia in una dimensione dove tempo, luogo, angoscia e
paura si fondono in un tutt’uno.
Il
romanzo è molto breve, ma la lettura è velocissima per la sua
rappresentazione estremamente incalzante e serrata. Magistrale il
racconto dell’assedio da parte delle creature umanoidi, degno di
uno dei migliori romanzi action di Ellmore…
Nel
romanzo sono pressochè assenti i dialoghi e il silenzio con lo
spietato confronto con la coscienza del narratore rende l’atmosfera
ancora più spaventosa e angosciante: l’angoscia infatti è uno dei
veri protagonisti di questo libro, che strangola tutti, dal narratore
ai due campeggiatori. La conclusione trasmette al lettore un senso di
sollievo, come
in quei film horror dove lo spettatore esorcizza la propria paura con
l’assoluta certezza che egli al posto del protagonista non si
sarebbe mai cacciato in un
guaio
del genere: i campeggiatori protagonisti sono infatti tutti i
lettori, e il riconoscersi in modo così diretto trasmette ancora più
paura per la minaccia che incombe nascosta nella nebbia intorno a
quell’oscura voragine.
Mi
è piaciuto tantissimo e ne consiglio la lettura veramente a tutti
per l’incredibile capacità dell’autore di offrire tematiche
estremamente attuali e “alla moda” nonostante il romanzo sia
stato scritto nel 1908.
Meraviglioso
l’intreccio iniziale con il ritrovamento del manoscritto, la
successiva sua lettura e l’angosciante e indimenticabile finale.
Ripropongo
un
passo:
Ora
eravamo nel folto degli alberi, e io mi guardavo attorno con
apprensione; ma non vedevo altro che rami, tronchi immobili e
cespugli aggrovigliati. Proseguimmo ancora, e nessun rumore ruppe il
silenzio, fuorché, ogni tanto, lo scricchiolio di un ramo spezzato
sotto i nostri piedi. Pure, nonostante il silenzio, avevo l'orribile
sensazione che non fossimo soli; e camminavo così vicino a Tonnison
che un paio di volte lo feci addirittura
inciampare;
ma non protestò. Un minuto, un altro, e finalmente eccoci fuori
della boscaglia, nel nudo paesaggio roccioso. Soltanto allora riuscii
a scuotermi di dosso la paura che mi attanagliava nel bosco. Ancora
una volta, mentre ci allontanavamo, mi parve di udire un lamento
lontano, e mi dissi che forse era il vento, benché la sera fosse
immobile.[…] Non sarei disposto a trascorrere la notte laggiù per
tutto l'oro del mondo. Laggiù c'è qualcosa d'impuro... di
diabolico. È un'impressione che ho provato all'improvviso, quando tu
hai parlato. Mi è parso che il giardino fosse pieno di presenze
abbiette... mi capisci?
Se
fosse una canzone, “Back in black” degli ACDC