martedì 27 dicembre 2011

Scheggia - Una storia di moto e di amicizia – Roberto Parodi

Questo è il secondo lavoro letterario di Parodi, ma a differenza del primo (Il cuore a due cilindri) si tratta di un romanzo sull’amicizia, i viaggi, le moto, e soprattutto sulla grandezza dell’animo umano.
Il romanzo è la storia del viaggio di tre amici, Accio, Ragno e Scheggia, alter-ego fin troppo riconoscibile dell’autore, che propone se stesso con questo personaggio simile a lui in tutto: stessa moto, abbigliamento, gusti musicali, e soprattutto stesso spirito di conoscenza e di avventura, elementi facilmente riconoscibili dal suo sito-blog (www.threepercenters.it). Anche il viaggio è l’occasione per proporre un pezzo di propria vita vissuta, di quando l’autore con la sua Road King del ’98 è arrivato fin sul massiccio dell’Assekrem nell’Algeria centrale.
L’intreccio è semplice, i tre amici vogliono riportare in Africa le ceneri del loro caro amico deceduto in uno strano incidente in moto su una strada dell’Algeria centrale, luogo che tanto amava.
La storia si snoda intorno a questa motivazione per offrire con straordinaria ed entusiasmante vivacità incontri, avventure, personaggi e descrizioni di un’avventura di tre motociclisti in moto, ovviamente tre Harley Davidson, in un contesto assolutamente inospitale e inadatto, celebrando così con maggiore enfasi il concetto di libertà.
La libertà assoluta infatti è l’altro grande protagonista, che accompagna i tre amici in tutto il viaggio regalando al lettore una storia positiva carica di vitalità e ottimismo, anche nei momenti più grigi della narrazione. In certi punti il racconto appare, forse, molto romanzato da particolari troppo cinematografici, ma l’impressione così caricaturale si percepisce essere voluta quale chiave di lettura, che ritengo conferisca all’opera stessa maggiore enfasi.
Il Road King di Parodi durante il suo viaggio.
Assolutamente da ricordare le splendide descrizioni che Parodi offre di alcune comparse, vere e proprie caricature di persone comuni che ognuno di noi può incontrare ogni giorno: la mamma totale, la mamma straricca, la mamma sportiva, i manager in carriera con il suv, e non ultimo i raider con i quad superequipaggiati!
La lettura è davvero divertente, scritta con un ritmo veloce ed incalzante, ma comunque sempre in grado di lasciar riflettere il lettore sul senso della narrazione e sui grandi valori che animano il viaggio e la coscienza dei protagonisti. A tal proposito, un passo:

Scheggia << Il punto è che nella mia vita ho sempre saputo qual’era la strada giusta, ma non l’ho mai presa, e sai perché? Perché era sempre la strada più difficile. Ho finito per scegliere sempre quello che ero capace di fare, o la cosa meno faticosa, o quella che mi garantiva una via di scampo. In un certo senso, non ho mai fatto veramente una scelta con le palle, una di quelle che si ricordano tutta la vita. E’ come se fossi scivolato piano piano verso una vita che era inevitabile.>>.

Il romanzo è integrato da cartine esplicative, alle quali è possibile unire le foto (visibili sul suo sito) molto suggestive che Parodi ha scattato durante il suo viaggio in quegli stessi luoghi, confondendo la cronaca di un’esperienza unica e indimenticabile, con la suggestione del romanzo. Consiglio la lettura di questo romanzo a tutti: divertente, veloce, e soprattutto positiva!
Se fosse una canzone "Hey Hey My My” di Neil Young, che l’autore propone quasi come una colonna sonora, e in particolare nel passo finale si ha quasi l’impressione di sentirla suonare…

martedì 13 dicembre 2011

Moby -Dick – Herman Melville

Penso che il titolo possa essere sufficiente per saltare le presentazioni! Moby Dick non è solo un romanzo è anche un personaggio del nostro immaginario, un’icona dell’universo marino che ci avvolge, ricoprendo il ruolo che ha conquistato in più di un secolo di vita, da quando Melville con quest’opera ha dato vita a questa figura totale.
Moby Dick non è solo una balena, è l’ignoto, la paura, la lotta dell’uomo contro la natura, il bene e il male, e l’eterno equilibrio che li avvicenda, ma soprattutto una splendida occasione per proporre un fantastico romanzo sull’animo umano.
“Chiamatemi Ismaele” … Comincia così, con un imperativo, un ordine che rende ancora più incisivo il ruolo del protagonista, come a voler fissare il suo nome perché al posto di quello potrebbe essercene qualunque altro.
Questa è la storia di Ismaele, giovane avventuriero americano che decide di imbarcarsi su una nave baleniera negli Stati Uniti del XIX secolo, quando ancora le spedizioni duravano anni e la zona di caccia era il mondo intero. La nave è il Pequod e fin dal primo incontro l’autore la offre con un ritratto sinistro (ossa di balena esposti come trofei di caccia), che non nasconda l’aspetto più spaventoso: l’anima perversa del suo comandante, il Capitano Acab.
Acab si svela al protagonista, che è anche la voce narrante, solo dopo la partenza per un viaggio che porterà l’equipaggio intorno al mondo, svelando poco per volta la propria natura e il vero scopo del viaggio: non la cattura delle balene per il prezioso olio, ma la folle e scellerata caccia di Moby Dick. Il vero protagonista è quindi il capodoglio albino responsabile di aver strappato una gamba al Capitano Acab durante una battuta di caccia finita con l’affondamento della lancia.
Moby Dick viene presentato come un essere malvagio, sfuggito all’inferno, il cui unico obiettivo è la caccia degli uomini con spietata e intelligente freddezza.
Melville parte da quest’intreccio semplice per offrire uno splendido ritratto dell’animo umano intorno a personaggi meravigliosi descritti con magistrale e indimenticabile abilità: dopo aver letto questo romanzo sarà difficile dimenticare Acab, Queequeg, Starbuck, Stub e tanti altri. Il ritmo alterna momenti di grande lentezza intorno a digressioni scientifiche, naturalistiche, e filosofiche a momenti concitati e velocissimi in grado di far trattenere il fiato per l’azione o per l’angoscia trasmesse: indimenticabile il passo dell’incontro del Pequod con una baleniera alla disperata ricerca di alcuni suoi naufraghi (tra cui il figlio del comandante stesso), affondati con la propria lancia proprio da Moby Dick.
Altro protagonista indiscusso dell’opera è il mare, con la sua immensità in grado di stuzzicare poeti, ma anche di portare alla follia naviganti in balia degli elementi. Molto espressivo questo passo:

E quello stesso giorno, ancora, Starbuck, guardandolo dal fianco della sua lancia, nelle profondità di quel mare dorato, mormorò sottovoce <<Bellezza in scandagliabile, quale mai un amante vide negli occhi della giovane sposa! Non parlarmi dei tuoi squali con i denti in fila e dei tuoi modi cannibaleschi da rapitore di fanciulli Che la fede si sostituisca ai fatti e la fantasia alla memoria; io guardo nell’abisso profondo, e credo.>>.

Ritengo che “Moby Dick” sia una lettura fondamentale, della quale nessuno possa privarsi: pertanto ne consiglio la lettura a tutti, precisando che non si tratta di un libro da Autogrill, e che quindi, per essere apprezzato, necessita di grande attenzione ed entusiasmo.
Se fosse una canzone "The Storm" dei Savatage.

mercoledì 30 novembre 2011

Vicolo Cannery – John Steinbeck

Questo romanzo è una delle opere minori di Steinbeck, ma è certamente un altro ritratto che ci viene offerto di quel mondo di non eroi ampiamente trattato dall’autore in altre sue opere. L’impressione infatti, è che si tratti di una naturale continuazione di Pian della Tortilla. Anche se i personaggi non sono gli stessi, l’ambientazione è la medesima e questo romanzo offre un altro ritratto della Monterey degli anni ’30 che nessuno vedrà mai in foto o documenti storici: anche questa volta la storia si svolge nella parte più povera della città, e il titolo del romanzo è il nome della strada che ospita il centro della narrazione.
Il Vicolo Cannery è una stradina sulla quale si affacciano degrado e povertà, e anche il centro della vita di persone ai margini, le quali con dignità e orgoglio ostentano un’esistenza fatta di sacrifici, contraddizioni, ma anche amore verso la vita.
La narrazione è un ritratto di questa dimensione, e presenta personaggi stupendi raccontati con episodi del loro passato, anche banali, ma indispensabili a conoscere gli attori che animeranno la storia. In questo modo vengono presentati Lee Chong, intrepido commerciante-usaraio, Dora maitresse del locale bordello, i ragazzi del Palace Flophouse (un vecchio magazzino riconvertito in abitazione), i coniugi Malloy che vivono in una vecchia caldaia e in particolare il Dottore, personaggio misterioso e carismatico, che Steinbeck propone su ispirazione del biologo e amico Ed Ricketts, al quale l’autore dedica quest’opera con la dedica “”Per Ed Ricketts che sa o dovrebbe sapere perché”.
La storia si snoda attraverso la ferma volontà e i tentativi maldestri di donare una festa al Dottore, quale segno di gratitudine per tanti gesti di umanità che lo studioso ha offerto un po’ a tutti nel corso degli anni.
La narrazione è suddivisa in capitoli, alternati tra descrizioni e flash back con il proseguimento della storia, che si svolge con ritmo veloce e situazioni spesso molto divertenti. E’ una lettura dove non ci si annoia, e nella quale non mancano spunti per profonde riflessioni.
Ripropongo un passo:

“Le cose che ammiriamo negli uomini, la bontà, la generosità, la franchezza, l’onestà, la saggezza e la sensibilità, sono in noi elementi che portano alla rovina. E le caratteristiche che detestiamo, la furberia, la cupidigia, l’avarizia, la meschinità, l’egoismo, portano al successo. E mentre gli uomini ammirano le prime di queste qualità, amano il risultato delle seconde.”

Questo romanzo mi è piaciuto moltissimo, anche se non nego di essere sfacciatamente di parte, in quanto Steinbeck era, e rimane, il mio scrittore preferito; ne consiglio la lettura a tutti, per la facilità dei contenuti e per le opportunità di riflessione che offre intorno a dimensioni sempre attuali.
Se fosse una canzone “Mr Bojangles” dei Nitty Gritty Dirt Band

martedì 8 novembre 2011

Freedom - Leggi e leggende della strada - Ralph Sonny Barger

“Libertà”: il vecchio Sonny già con il titolo propone il tema centrale di quest’opera, che costituisce una raccolta di pensieri e di principi cardine che l’autore ha sviluppato nel corso della sua vita.
Non c’è una trama, in quanto il centro della narrazione sono gli elementi più importanti del concetto di “libertà” visti dagli occhi di colui che può essere ritenuto uno degli individui più importanti della scena biker mondiale.
L’autore parla di un po’ di tutto, dal rispetto della puntualità alla sincerità, dal rispetto all’amicizia offrendo molte riflessioni piuttosto Zen, ma anche un sacco di ovvietà.
E’ indubbiamente una proposta interessante, ma bisogna riconoscere che le argomentazioni dell’autore possono risultare un po’ astratte per i lettori più distanti dall’ambiente, e di conseguenza apparire decisamente noiose, e forse un po’ troppo scontate per coloro che si aspettavano qualcosa di più, magari del livello di suoi precedenti lavori quali Hell’s Angels e Ride Hight – Live Free.
Insomma, Sonny è sempre Sonny, però poteva fare qualcosa di meglio: pertanto mi sento di consigliare la lettura di questo libro solo a chi veramente appassionato del genere, per cui la necessità di dire “… ho letto tutti i suoi lavori” possa prevalere su un giudizio banale.
Inoltre, visto che gli Angeli girano esclusivamente su moto Harley-Davidson, l'autore avrebbe anche potuto evitare di mettere una pacchianissima Honda Shadow sulla copertina!!!
Se fosse una canzone “Cerco un centro di gravità permanente “ di Battiato.

mercoledì 26 ottobre 2011

Cold Spring Harbor – Richard Yates

Yates, quello che definisco un altro mostro sacro della letteratura americana. Con questo romanzo, uno dei più famosi, ma da molti ritenuto il migliore, propone un ritratto dell’America di provincia durante i difficili e convulsi anni della Seconda Guerra Mondiale, raccontando le vicende di due famiglie che si incontrano e si accavallano secondo i destini, comunque già scritti, dei rispettivi protagonisti.
E’ la storia di Evan Shepard, giovane ribelle e inquieto, che conosce per caso Rachel Drake, ragazza umile e sola, illudendo e prospettando una vita che egli non avrà mai, continuamente condizionato dai suoi errori e vittima di equilibri familiari comunque compromessi. Il legame sentimentale dei due giovani è l’occasione per presentare al lettore due drammi familiari, quello dei Shepard e quello dei Drake, completamente diversi, ma comunque segnati dalla disillusione di sogni mai realizzati, in una dimensione in cui il sogno stesso è una semplice vita normale, e non come sempre accade solo una gelida apparenza.
Il significato è molto profondo e si concentra tutto sul disequilibro tra apparenza serena e realtà sofferta e difficile.
Il ritmo della narrazione è volutamente lento, e offre in questo modo una percezione maggiore dei comportamenti e del carattere dei personaggi, trasmettendo un senso di continuità scenica quasi teatrale che non annoia mai il lettore.
Mi è piaciuto molto, ma ne consiglio la lettura solo agli amanti del genere, perché un significato così profondo può essere colto soltanto con una lettura attenta e dedicata: non è un romanzo da ombrellone.
Se fosse una canzone “That’s life” di Frank Sinatra.

lunedì 3 ottobre 2011

Legionario – Tony Sloane

Ecco un romanzo che è riuscito a far parlare molto di sé nonostante non sia stato scritto da un “professionista”. Tony Sloane propone la sua esperienza all’interno della Legione Straniera, il più discusso, chiacchierato, ma anche poco conosciuto corpo speciale dell’esercito francese. Negli anni si è parlato molto della durezza degli addestramenti, della difficoltà delle missioni svolte in territori di guerra lontani anche dall’attenzione dei media, ma non per questo meno pericolosi. Un motto su tutti, esprime in pieno lo spirito che anima questo corpo: Marcia o muori! Un’affermazione essenziale che racchiude in se la durezza di una dimensione ai limiti dell’umano.
Sloane propone la sua esperienza partita da un’adolescenza difficile trascorsa nella periferia inglese, in una dimensione familiare priva di qualunque riferimento educativo, e approdata per caso in un centro di reclutamento della Legione Straniera.
Il racconto si snoda per tutta la durata dei cinque anni di ferma, dall’incorporamento con la firma del contratto, al faticoso addestramento di quattro mesi a Castelnudary sui Pireni dove sono vietati tutti i tipi di contatto con l’esterno, fino alla destinazione operativa al 2° REP di Calvi in Corsica, che vedrà il protagonista/autore impegnato in ben più duri addestramenti fatti di fatica, privazioni, sacrifici, dolore e sangue, con esperienze significative anche in Africa.
Il racconto è sicuramente molto forte per gli argomenti trattati, ma la narrazione è spesso noiosa perché troppo poco romanzata per l’assenza pressoché totale di dialoghi. L’esperienza vissuta viene proposta come un lungo monologo che ne aumenta il senso di credibilità e impatto emotivo, ma privando il lettore di molti colpi di scena.
Durante la lettura si percepisce l’impatto emotivo subito dall’autore di fronte a situazioni estreme e la sua differente reazione con il passare del tempo: una specie di trasformazione che la Legione Straniera opera sul suo animo, trasformandolo da un adolescente irrequieto in una macchina da guerra priva di coscienza e animata solo da ordini e istinti.
La lettura a questo punto diventa ancora più noiosa, in quanto la normalità diventa l’alternarsi di addestramenti duri alle quali il protagonista diventa ormai allenato, con colossali bevute di alcolici, risse, prostitute, punizioni in una specie di equilibrio di follia dove tutto è avulso da una dimensione di normalità. L’istinto domina l’anima, e l’uomo perde la coscienza che lo solleva rispetto agli animali.
Mi hanno colpito a tale proposito alcuni passi che ripropongo:

Furono pronunciate parole dure, ma la cosa che più mi colpì fu la spiegazione relativa al modo corretto di suicidarsi. Al sergente non importava se qualcuno di noi voleva farla finita: l’importante era che lo facesse correttamente in modo da non far perdere tempo agli altri.

Marciavamo e marciavamo; quando trovavamo dell’acqua riempivamo con sollievo le borracce, che si trattasse di una sorgente limpida e fresca o di una pozza fangosa e calda. Avevamo bisogno di bere e avremmo bevuto qualsiasi cosa. Quando ti lasci alle spalle la civiltà non ti resta che l’istinto di sopravvivenza, e la sopravvivenza è avidità: un uomo che sta per morire di fame è pronto a rubare qualsiasi cosa anche se sa che è sbagliato e se non ignora quali saranno le conseguenze.

Tre anni prima ero un diciottenne ingenuo, adesso ero un killer. Non mi importava un accidente delle capre che uccidevamo e neppure delle persone che avevo visto morire durante l’operazione Godoria. Non pensavo più a niente non ne avevo bisogno. Volevo solo bere fare sesso e uccidere. La trasformazione era avvenuta e mi piaceva. L’aggressività era stata alimentata tanto da ribollirmi nel sangue, l’avvertivo in tutto il corpo… il mio corpo diceva <<Fottitene! Continua così! Sbattitene!>>.
Una spugna assorbe l’acqua. Tutti noi siamo il risultato dell’ambiente che ci circonda e il modo in cui siamo trattati si rivela nel modo in cui trattiamo gli altri.

Ho acquistato questo romanzo più per curiosità che per un reale interesse, scoprendo un mondo lontanissimo quanto assurdo. Pertanto non posso definire l’argomento “interessante”, in quanto un giudizio di questo tipo risente molto delle inclinazioni individuali e ne consiglio quindi la lettura a chi vuole conoscere o approfondire questo tipo di argomento. In ogni caso, non è un romanzo d’avventura, o un passatempo da leggere sotto l’ombrellone, e un’aspettativa di questo tipo lascerebbe parecchio delusi.
Se fosse  una canzone “Totentanz” di Gae Bolg.

mercoledì 31 agosto 2011

Io, prigioniero in Russia – Vincenzo Di Michele

Il titolo di questa biografia non lascia spazio ad interpretazioni, e in poche parole raccoglie tutto lo sgomento e la disperazione della più imponente e sanguinosa disfatta bellica che l’Italia ha subito nella Seconda Guerra Mondiale.
L’autore propone dopo una breve propria presentazione il racconto scritto dal padre Alfonso, di proprio pugno, dell’esperienza vissuta durante il servizio militare, che lo ha costretto per più di tre anni lontano di casa, confinandolo in una dimensione disumana e irreale ai limiti della sopravvivenza.
La storia comincia con piacevoli ricordi di infanzia e adolescenza trascorse nel paese natale, Intermesoli sull’Appennino abruzzese alle pendici del Gransasso. E poi la chiamata alle armi negli alpini alla Brigata Julia e la partecipazione alla terribile campagna i Russia.
Il racconto diventa sconvolgente, nonostante vengano volutamente omessi i dettagli più macabri  assume un’incisività tremenda, riuscendo a trasmettere al lettore un incredibile senso di angoscia e sgomento, forse anche a causa di alcune premesse che sottolineano come la durezza di quei momenti non fosse nulla rispetto a quanto la vita avrebbe riservato al protagonista nei mesi a venire.
La guerra “finisce”, e comincia la deportazione con massacranti marce in mezzo al nulla a -45 gradi sottozero, con i soldati che incalzavano il ritmo per coloro che camminavano, e “lasciavano andare” quelli che non vi riuscivano: tanto in mezzo alla steppa, senza cibo, senza acqua (perché mangiare la neve non serve) a quelle temperature restare indietro voleva dire morire.
E poi l’arrivo al terribile campo di Tambov da dove per puro caso il protagonista riesce ad essere allontanato dopo soli tre mesi ad un pelo dalla fine, quando ormai il corpo e l’animo erano stremati.
Commovente il ritorno a casa, e soprattutto il ricordo di coloro che attendevano i reduci alla stazione con in mano una foto del proprio figli/marito/fidanzato e la speranza che qualcuno di quei sopravvissuti potesse custodirne qualche informazione.
E’ una lettura veramente forte, scritta con parole semplici e dirette, che forse anche per questo colpiscono come un pugno in faccia. Nonostante questo ritengo che sia una lettura assolutamente indispensabile, per riconoscere onore a chi a perduto la vita in quella folle missione, e soprattutto per non dimenticare cosa significa la guerra, anche oggi, quando è una parola che non va più di moda e si preferisce chiamarla “missione di pace”.
E’ un romanzo che segna, esattamente come tante più famose quali “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern, ma che forse proprio perché meno annunciata da recensioni e commenti assume un’incisività davvero unica. La lettura è velocissima, e al suo interno parecchie foto e cartine rendono tutto ancora più reale, sottraendo alla fantasia ogni interpretazione.

Se fosse una canzone “Signore delle cime”.

lunedì 1 agosto 2011

Pierluigi Baima Bollone

Un'opera che già dal titolo commenta se stessa. L’autore, noto medico legale dell’Università di Torino, affronta con immensa dovizia di particolari tutta la sua esperienza di studi effettuata intorno alla preziosa, nonché discussa e controversa reliquia.
Questo saggio in particolare analizza il percorso, o presunto tale, che la reliquia avrebbe fatto, partendo dai vangeli fino al presente. Le osservazioni sono tutte documentate da una dettagliatissima nota bibliografica, che nei primi capitoli è prettamente storica, mentre si dilunga successivamente sugli aspetti scientifici di tutti gli studi svolti.
Alcuni capitoli, e in particolare quello sul controverso esame al carbonio 14 che ne daterebbe la fattura al Medioevo, sono piuttosto impegnativi per chi non ha grande dimestichezza con la chimica e la biologia.
La narrazione è comunque molto approfondita, e sicuramente coinvolgente soprattutto nella parte storica, dove l’autore propone una serie di collegamenti e confronti con fatti e personaggi storici, documentando tutto con note bibliografiche e poche ma essenziali fotografie. Suggestiva l’analisi del percorso fatto dalla Sindone dalla Terra Santa fino all’Europa, e poi i collegamenti con il famoso pannello di Templecombe, o il famoso Mandylion… e non ultimo la presenza dei Templari.
Davvero impressionante il capitolo sulla crocifissione, dove vengono analizzate tutte le tipologie di questa atroce tortura, e le analogie con la figura esposta sul telo custodito a Torino.
Non voglio anticipare le impressioni scientifiche dell’autore, ma in ogni caso l’opera è talmente ricca di particolari e dettagli che ognuno è libero di trovare la propria impressione, o perlomeno di individuare spunti per approfondimenti individuali verso altri testi.
Ritengo questo saggio molto interessante e approfondito, e forse proprio per questo non è una classica “lettura da ombrellone”. Per tanto ne consiglio la lettura a tutti coloro che sono incuriositi dall’argomento, e sono disposti a dedicare concentrazione ed attenzione che solitamente non si concedono a letture di svago.

lunedì 25 luglio 2011

Viaggio con Charlie – John Steinbeck

Il titolo di questo romanzo è una presentazione più che esplicita dell’opera che Steinbeck offre ai lettori. Il tema del viaggio, che ovviamente non si riduce ad una guida turistica, ma abbraccia un’esigenza che trasforma quest’opera in un insieme di romanzo di viaggio e romanzo di formazione.
Steinbeck parte nel 1962 per un viaggio on the road con il suo fedele cagnolino Charlie a bordo di Ronzinante, un pickup con unità abitativa incorporata sul cassone, inseguendo la necessita di conoscere l’America, quella di cui tanto ha scritto, nella quale non ci sono più pionieri e frontiere da raggiungere, ma l’unico confine è la conoscenza umana. E forse è proprio questo che l’autore cerca, il contatto con le persone, per dare un volto a luoghi e suggestioni che soltanto un viaggio può permettere.
La lettura è davvero piacevole, con un ritmo veloce e allegro, piena di osservazioni curiose, e dialoghi divertenti, anche se in più di una occasione si percepiscono evidenti errori di traduzione… un vero peccato.
La trama è tutto questo: la voglia di un viaggio dove la meta vera è solo il contatto con luoghi poco conosciuti, anche se famosi, cercando di colorare il paesaggio con le caratteristiche delle persone.
Lo consiglio a tutti coloro che amano letture di viaggio, ma per i fans di Steinbeck è assolutamente un capolavoro imperdibile!
Se fosse una canzone, “On the road again” di Willie Nelson

mercoledì 20 luglio 2011

Fausto Coppi – Paolo Alberati

Per chi si intende un po’ di sport è un grande campione, ma per chi va in bicicletta una vera e propria leggenda! Nessun titolo potrebbe essere più conciso ed efficace di quello che Alberati ha scelto per questa biografia sportiva e umana.
Si tratta di un opera appassionata e appassionante che solo uno sportivo e un ciclista, proprio come Alberati, potrebbe concepire con lo stesso entusiasmo e la stessa enfasi, celebrando il Campionissimo come una vera leggenda, pur mettendone in risalto le limitazioni fisiche e umane. Ma nonostante tutto, Coppi resta sempre Coppi.
La biografia ripercorre tutta la vita del Campione, dalle difficoltà economiche della vita a Castellania, agli esordi sportivi, e poi l’amicizia/rivalità con il grandissimo Bartali, il preparatore atletico Cavanna e poi tanti nomi illustri del ciclismo come Magni, Astrua, e tanti altri che hanno fatto da contorno a questo grandissimo personaggio. Si ripercorre poi tutta la carriera sportiva fatta di successi, incidenti, disavventure, ma anche tante occasioni di unire il nome di Fausto Coppi ad imprese leggendarie quali Giro d’Italia, Milano-Sanremo, Tour de France, Parigi-Roubaix e molte altre.
La scrittura è veloce, e l’opera è piena di fotografie (alcune ormai famosissime), e di molte riproduzioni di figurine che celebravano Fausto Coppi come un eroe tra gli adolescenti di allora, che rendono lo scorrere delle pagine ancora più avvicente, lasciando al lettore degli scorci visivi su un mondo, quello del ciclismo eroico, che ormai purtroppo non esiste più.
Lo consiglio a tutti, ma per gli appassionati di ciclismo, è praticamente un libro sacro.
Se fosse una canzone, “Uno su mille” di Gianni Morandi.

mercoledì 13 luglio 2011

Gente di Dublino – James Joyce

“Gente di Dublino” è una raccolta di racconti di cui avevo sentito più volte parlare in discussioni animate da commenti fortemente contrastanti. Joyce è indubbiamente una figura di enorme spessore letterario, e una sua opera non può certamente essere banalizzata con un “bella” o un “brutta”; ciò nonostante le impressioni soggettive emergono sempre, lasciando magari in secondo piano il valore letterario riscontrato.
L’opera è appunto una raccolta di racconti, alcuni brevissimi, dove il protagonista comune è la città di Dublino, nella quale sono ambientate tutte le storie e della quale progressivamente l’autore propone descrizioni, molto realiste, e a volte anche accurate, con la narrazione di episodi anche banali che ripercorrono tutte le fasi salienti della vita umana. Si parla di gioventù, amore, morte, coraggio, ma le descrizioni dei personaggi sono sempre molto piatte, e il ritmo è davvero lentissimo. Si ha sempre la percezione che non succeda nulla, e spesso al termine di una lettura l’amarezza di una conclusione triste è quasi una condanna ad un giudizio negativo.
Purtroppo, forse a causa di queste caratteristiche, l’impressione non è positiva e si ha spesso difficoltà a ricordare ogni singola storia, con la sensazione amara di non aver individuato il significato dell’opera nel suo insieme.
I racconti sono brevi, e forse per questo non è difficile terminare la lettura, ma mi sento di consigliare questo libro soltanto a chi veramente motivato a conoscere una scrittura molto profonda, ma comunque avara di emozioni forti e coinvolgenti.
Se fosse una canzone, “Watermark” di Enya.

venerdì 1 luglio 2011

Come essere felici – Raffaele Morelli

Mi è capitato spesso di ascoltare le parole di Morelli presso note trasmissioni televisive, spesso manifesto della peggior tv spazzatura, e percepire un notevole spessore professionale da parte di Morelli.
Ho scelto questo saggio/manuale, presentato tra i tanti come uno dei meno specifici e forse più adatto a chi vuole avvicinarsi all’argomento della psicologia, riscontrando una grande facilità di lettura con esempi e testimonianze dirette, ma anche con riflessioni riconoscibili sulla vita di ognuno.
Morelli analizza appunto la felicità, trattando tutti gli aspetti dell’esistenza umana sottolineando sempre la ricerca della dimensione più verosimile nella quale ogni individuo può riconoscere e ritrovare il proprio benessere. La proposta della narrazione è molto pratica, quasi manualistica, offrendo una serie di spunti sui quali riflettere provando su se stessi la ricerca della felicità: un bene così prezioso, ma anche complicato.
La lettura è scorrevole e veloce, anche se alcune volte si ha la percezione di tanti luoghi comuni, composti da frasi fatte che trovano un riscontro difficile con la realtà. Nel complesso è comunque uno spunto interessante e profondo per guardare nella propria coscienza e nel proprio modo di vivere.
Lo consiglio a tutti coloro che sentono la curiosità di capirsi meglio con una lettura facile e diretta.

mercoledì 22 giugno 2011

Bolidi. Quando gli italiani incontrarono le prime automobili – Giorgio Boatti

Questa lettura è un saggio sulla nascita delle automobili e sui grandi stravolgimenti che hanno portato alla società trasformandola radicalmente.
L’autore propone la storia dalle origini, senza tralasciare nessuno dei protagonisti che fecero di un oggetto di costume, unicamente privilegio dei ricchi, un mezzo di trasporto, che in pochi anni avrebbe soppiantato la trazione animale. Molto interessante l’influenza delle corse e del fascino che la competizione è stata in grado di trasmettere a tutti i protagonisti, celebrati come pionieri ed eroi: si parla naturalmente della Fiat, ma anche di altri marchi meno noti, che con mezzi leggendari come la mitica Well Eyes permisero a giovani intraprendenti come i fratelli Ceirano di dare visibilità e spettacolo ad un mondo che poco per volta affascinava e coinvolgeva sempre più persone.
Il saggio è questo e molto di più: un’analisi approfondita di tutti i problemi che le prime automobili portavano come conseguenza del proprio passaggio: la pericolosità di strade prive di segnaletica, l’assenza di un codice comportamentale, la disperata necessità di persone capaci di aggiustarle, e non ultimo di rifornirle di carburante.
Ritengo sia una lettura molto interessante, ma mi sento di consigliarla solo a chi veramente incuriosito dall’argomento, considerando un saggio più uno studio che un passatempo.
Considerato il periodo storico in cui prende forma questo nuovo mezzo di trasporto, mi piace associare questa lettura a “Zang Tumb Tumb”, poesia di Filippo Tommaso Marinetti, artista e padre del Futurismo, movimento artistico e letterario che  proprio in quegli anni, come l’automobile, muoveva i primi passi.

venerdì 17 giugno 2011

Il vecchio e il mare – Ernest Hemingway

Questo romanzo è considerato uno dei grandi classici delle letteratura mondiale e universalmente accettato come una delle più tradizionali letture scolastiche da proporre agli adolescenti. Non so per quale disegno del destino io sia rimasto escluso da questa “tradizione”, ma ora dopo averlo letto a abbondantemente nei “trena” non posso che esserne contento, in quanto ritengo sia una lettura talmente ricca di suggerimenti e inviti a riflessioni molto profonde, che a sedici anni avrei finito per banalizzarla come un breve racconto di avventura.
Il romanzo è la storia, ambientata nella Cuba degli anni ’30, di Santiago, un anziano pescatore ottantenne, che per giorni e giorni esce a pesca con un ragazzino, al quale dopo numerose giornate di totale assenza di pescato, viene vietato dai genitori di continuare ad uscire con l’anziano amico. Santiago però non demorde, convinto della sua natura di pescatore anche quando il Destino vuole che il mare sia avaro di soddisfazioni, e l’età comincia a far pesare tanti anni di vita dura. Per chissà quale scherzo del destino però, un grosso pesce spada abbocca costringendo il protagonista a mille tribolazioni prima di riuscire ad uccidere l’animale e ad issarlo ad una fiancata della piccola imbarcazione: il pesce è troppo grosso perché Santiago possa caricarlo a bordo da solo, rimpiangendo continuamente l’assenza del suo giovane amico. Purtroppo la soddisfazione del trionfo dura molto poco, in quanto tre giorni in mare hanno allontanato il pescatore dalla costa e durante il rientro la presenza del grosso pesce viene notata da numerosi squali, che in più riprese attaccano l’animale, nonostante la lotta disperata del protagonista che armato di coraggio, caparbietà e determinazione cerca di respingere i predatori utilizzando le poche risorse a sua disposizione.
Il romanzo è la storia di un trionfo che pesa molto più di una sconfitta, in quanto una volta rientrato a terra dell’enorme pesce saranno rimaste soltanto la testa e lo scheletro: i magri avanzi dei famelici predatori. A Santiago resteranno le congratulazioni e lo stupore di tanti pescatori, ma anche la soddisfazione di non aver mai perduto l’ammirazione e la stima del suo giovane amico.
Ritengo si tratti di una lettura veramente importante, perché forse è proprio il mistero della vita, l’abilità di riuscire a non rassegnarsi di fronte ad una sconfitta, cercando sempre di gioire della propria determinazione senza arrendersi mai alle avversità e sforzandosi di trovare sempre una soddisfazione anche quando la Vita sembra non essere d’accordo.
La narrazione è molto veloce, anche se un’enorme dovizia di particolari, che sottolineano la grande passione di Hemingway per la pesca, posso rendere la lettura un po’ difficile per coloro che hanno poca dimestichezza con terminologie così approfondite.
Lo consiglio veramente a tutti, ammesso che esista ancora qualcuno che come me sia riuscito ad arrivare all’età adulta senza averlo letto prima. In particolare posso consigliare l’edizione della Oscar Mondatori, in quanto vi è una splendida postfazione di Fernanda Pivano, che arricchisce la lettura con la propria esperienza fatta a Cuba, incontrando proprio l’autore nei luoghi che hanno ispirato il romanzo.
Se fosse una canzone, “Who wants to live for ever” dei Queen.

martedì 14 giugno 2011

Morto in cinque battiti – Ralph Sonny Barger con Keith e Kent Zimmerman

Il primo romanzo non autobiografico di Sonny Barger non è soltanto una storia, è qualcosa che raccoglie molti frammenti di vita, se letto dopo le altre due sue opere “Hell’s Angels” e “Corri fiero vivi libero”.
Ovviamente l’ambientazione è il “suo” mondo, quello delle motociclette e dei gruppi di biker, quello che può ritenerlo senza contraddizioni una delle voci più attendibili e autorevoli della scena MC mondiale.
La storia di John “Patch” Kinkade, membro degli Infidelz MC da ventitré anni, più della metà della propria vita, trascorsi e votati interamente alla vita del club: da prima come semplice prospect fino alla carica più ambita, quella di presidente. La narrazione vede il protagonista in fuga da se stesso, un matrimonio fallito alle spalle, e la decisione di abbandonare il suo gruppo in California per trasferirsi in Arizona, senza però lasciare gli Infidelz MC, semplicemente affiliandosi al chapter di quella zona, esprimendo con quel gesto la necessità di cambiare vita, pur senza rinnegare la propria natura.
Il passato però ritorna a bussare alla sua porta, quando a seguito dell’omicidio di un biker di quello che era stato il suo chapter fino a poco tempo prima, il nuovo presidente invoca il suo ritorno per chiarire l’episodio facendo luce su dei contorni troppo confusi ed incomprensibili in un ambiente che aveva finalmente raggiunto un equilibrio tra tutti i gruppi presenti in quella zona.
La storia è un intreccio di personaggi e vicende personali con continui colpi di scena, che in più di un’occasione mettono a repentaglio la vita stessa del protagonista, che in ogni occasione riesce sempre a far prevalere il suo sangue freddo e la sua determinazione. Gli episodi che si susseguono e dipanano progressivamente una matassa di intrighi, soffiate, traditori, e aggressioni, svelano in realtà la vera anima del protagonista che vota la propria esistenza alla fratellanza con gli altri membri del proprio club, trasformando gli Infidelz MC nella chiave della propria esistenza, dove un tradimento verso il gruppo diventa una macchia indelebile, un affronto troppo grande da accettare, anche se il traditore è un amico con il quale si sono condivisi anni di vita.
Il romanzo è davvero bellissimo, anche se si percepisce che la mano di Sonny sia stata aiutata dai Zimmerman per la presenza di una serie di particolari, troppo romanzati e holliwoodiani, per una storia di strada scritta da chi situazioni come quelle narrate le ha vissute sulla propria pelle: la bellissima LiLac, e l’episodio marginale del cattivo Enrique, ad esempio, sono dettagli troppo televisivi che non c’entrano molto con il contesto della narrazione.
Meravigliosa l’ambientazione: Oakland in California, proprio la stessa città dove l’autore è cresciuto formando la propria personalità, in un ambiente che in tutta la vita lo ha visto protagonista, costruendo con le proprie mani il prestigio e la fama degli Hell’s Angels MC, che proprio da quell’angolo di America cominciarono a muovere i primi passi. I nomi degli MC che compaiono nella narrazione sono ovviamente tutti di fantasia, anche se l’ambientazione è fin troppo reale.
La lettura è velocissima e la narrazione incalzante e avventurosa, anche se sinceramente mi sento di consigliarne la lettura a coloro che possiedono già una conoscenza della cultura biker e che magari abbiano già letto l’autobiografia dell’autore, alla quale questo romanzo può soltanto aggiungere suggestioni e dettagli ulteriori: diversamente sembrerebbe soltanto una storiella avventurosa, magari utile suggerimento per la sceneggiatura di un B-Movie d’azione. Purtroppo, unica nota negativa, si percepisce un discreto numero di errori di traduzione sui dettagli delle motociclette e sull’abbigliamento dei protagonisti.
Il romanzo mi è piaciuto moltissimo e inoltre non è privo di riflessioni importanti, che lasciano percepire al lettore che la mano dell’autore non è mossa da esercizi narrativi, quanto piuttosto da un profondo senso di appartenenza ad una cultura diversa e parallela dalla dimensione sociale attuale, dipingendone i protagonisti come la trasposizione contemporanea dei vecchi cowboy, sottolineando sempre che nascosti dietro l’icona dei “brutti sporchi e cattivi”, esistono anche sentimenti e animi nobili che la società superficiale e bacchettona preferisce ignorare in nome di un perbenismo fatto alla fine di tanta apparenza.
Ripropongo un passo che ritengo molto significativo:
Mettere il club davanti alla famiglia era una delle scelte più difficili che si chiedevano ad un membro prima di consegnargli le insegne (i colori – n.d.r.). I momenti della verità erano quelli più duri in cui si dovevano indossare i propri colori. Alcuni dei membri migliori erano entrati a far parte del club dopo aver scontato del tempo in prigione o nell’esercito. Avevano sperimentato la fratellanza e il cameratismo attraverso la violenza e lo scontro. Patch aveva messo in guardia i più giovani molte volte: entrate nel club e forse carne della vostra carne, il vostro stesso sangue (familiari, genitori, fratelli e sorelle) potrebbero voltarvi le spalle.
Se fosse una canzone “Lose yourself” Eminem.

giovedì 9 giugno 2011

Il deserto dei tartari – Dino Buzzati

Questo romanzo è solitamente una delle proposte più classiche per le letture di narrativa scolastica: purtroppo in adolescenza è abbastanza raro trovare le capacità di comprenderlo e apprezzarlo in tutto il suo immenso valore.
Il romanzo è la  storia semplice di un uomo che non ha nulla di eroico se non la volontà di attendere grandi cose dalla propria vita: il giovane tenente Giovanni Drogo, che viene assegnato temporaneamente ad una fortezza di confine, estremo baluardo di una difesa che non deve conoscere punti deboli di fronte ad un nemico che nessuno ha mai visto.
La fortezza Bastiani, è isolata in mezzo alle montagne, ed affacciata verso una landa desolata che ricorda con la sua ingombrante presenza l’assurdità che la guerra costituisce, inventando minacce e paure in grado di condizionare vite intere.
L’atmosfera quasi claustrofobica, e le grandi ambizioni, alimentate anche da modelli di ufficiali più anziani, arrivano a rapire e condizionare le volontà del protagonista, che poco per volta, anno dopo anno rimane sempre più attaccato in una simbiosi quasi morbosa con quella dimensione militare che lo allontana sempre di più dalla vita normale. Le brevi licenze si fanno sempre più rare, ed ogni volta è sempre più doloroso il confronto con una realtà così diversa da quella del proprio ruolo militare.
Il richiamo della Fortezza è sempre più forte, alimentato dalla convinzione che la guerra debba per forza arrivare, e con essa la giustificazione legittima di una vita spesa ad inseguire un sogno.
Struggente il passo in cui Drogo, dopo decenni di servizio, rientrando da una licenza incontra un giovane ufficiale diretto alla Fortezza, ripercorrendo a ruoli invertiti la stessa situazione che lo aveva visto protagonista con un anziano capitano il giorno del suo arrivo: la vita è passata e quel sogno perverso non si è mai avverato.
La metafora del romanzo diventa evidente quando la guerra arriva sul serio e il protagonista, ormai troppo vecchio e malato, deve lasciare il forte per andare a morire da solo in una locanda come un qualunque civile. La vita è passata, definitivamente… e con essa tutti quei sogni scrutati per tanti anni con un vecchio cannocchiale sul filo dell’orizzonte, immaginando più che guardando…
E’ il primo romanzo che rileggo per la seconda volta, in quanto a sedici anni era soltanto una storia, ma ora con la vita che comincia a proporre i primi bilanci diventa uno spunto riflessivo, che coinvolge ben oltre una semplice storia militare, proponendo con acceso entusiasmo la lotta del tempo contro la vita: uno scontro dove il risultato migliore può essere soltanto un equilibrato compromesso.
Il romanzo mi è piaciuto tantissimo, per la scorrevolezza decisa, e soprattutto per la forza di alcune riflessioni, che assumono un’incisività talmente profonda da fermare la lettura con meditazioni individuali. In particolare, ripropongo alcuni passi particolarmente incisivi:

Drogo però non lo sapeva, non sospettava che la partenza gli sarebbe costata fatica, né che la vita della Fortezza inghiottisse i giorni uno dopo l’altro tutti simili, con velocità vertiginosa. Ieri e l’altro ieri erano eguali, egli non avrebbe più saputo distinguerli; un fatto di tre giorni prima o di venti finiva per sembrargli egualmente lontano. Così si svolgeva alla sua insaputa la fuga del tempo.

Nessuno c’era che gli dicesse “Attento, Giovanni Drogo!”. La vita gli appariva inesauribile, ostinata illusione, benché la giovinezza fosse già cominciata a sfiorire.

<<Ho saputo accontentarmi>> diceva il maggiore accorgendosi dei pensieri di Drogo. <<Anno per anno ho imparato a desiderare sempre meno. Se mi andrà bene, tornerò a casa col grado di colonnello>>.

E a più di quarant’anni, senza aver fatto nulla di buono, senza figli, veramente solo nel mondo, Giovanni Drogo si guardava attorno sgomento, sentendo declinare il proprio destino.

Ritengo che sia una lettura indispensabile quanto fondamentale e lo consiglio davvero a tutti: in particolare a coloro che inseguono un sogno.
Nel 1976 è stato anche realizzato un film, quale trasposizione cinematografica della storia, per la regia di Valerio Zurlini e tra gli attori Giuliano Gemma e Vittorio Gassman: come sempre accade pur essendo ben fatto è assolutamente inferiore al romanzo, offrendo un’incisività che solo chi ha letto l’opera originale può percepire.

Se fosse musica, il “Silenzio” suonato nella versione fuori ordinanza di Nini Rosso.

mercoledì 25 maggio 2011

Al Dio sconosciuto – John Steinbeck

Questo romanzo ripropone un tema ricorrente nelle narrazioni di Steinbeck: lo scontro nell’uomo tra le forze della natura e quelle della propria coscienza.
E’ la storia della famiglia Wayne, che abbandona la fattoria nel Vermont per trasferirsi nella California della fine del XIX secolo: terra ancora di pionieri e praterie da conquistare. Tutto ruota intorno al carismatico Joseph, che partito in avanscoperta, individua la terra da sempre sognata aprendo la strada al trasferimento di tutta la famiglia, rimasta ormai orfana dell’anziano padre nel frattempo deceduto.
I fratelli Wayne costruiscono le loro case intorno ad un grande albero, al quale Joseph dona fin dal primo incontro un ruolo mistico, assecondando la certezza che oltre la Frontiera nemmeno Dio è già arrivato, e in queste terre esistono regole ed entità con le quali è indispensabile coesistere.
La tenacia e la caparbietà di Joseph spingono la grande famiglia nella conduzione del podere, superando difficoltà e anche atroci disgrazie come la morte della moglie del protagonista.
La forza di Joseph verrà messa a dura prova dall’arrivo di una terribile stagione secca, che progressivamente impoverirà le derrate mettendo alla fame il branco di mucche posseduto, e costringendo la famiglia a trasferirsi altrove per mettere in salvo il bestiame nel disperato tentativo di salvarsi dalla rovina completa.
Tutti partono abbandonando le proprie case, scortando il bestiame verso terre più a nord sfuggite alla siccità che dura ormai da mesi. Joseph rimane: completamente rapito da un delirio fatto di orgoglio e suggestione mistica che vuole individuare come causa di queste disgrazie le ire di un “Dio sconosciuto” rappresentato in terra da una strana e minacciosa roccia nascosta in un bosco di pini, e sui quali i nativi locali raccontano oscure leggende… Dalla roccia sgorga una piccolissima sorgente rimasta quasi asciutta, ma la tenacia e l’ormai folle amore per la propria terra costringeranno Joseph ad alimentare la roggia ormai morente con un gesto tanto estremo quanto assurdo, regalando un finale tragico, anche se bagnato dalle tanto attese piogge.
Una storia forte e coinvolgente in grado di scuotere in profondità l’animo del lettore, che vista l’intensità della narrazione percepisce gli stessi drammi vissuti dai protagonisti con un senso di impotenza e disarmante rassegnazione di fronte alla tenacia del protagonista. Joseph è un vero contadino, e in questo romanzo Steinbeck esalta le doti di questa vocazione che qualcuno chiama mestiere.
Ritengo si tratti di un romanzo magnifico, ma forse io sono troppo di parte perché ritengo Steinbeck il mio scrittore preferito…
Se fosse una canzone, “The Bard’s song – In the forest” dei Blind Guardian

giovedì 19 maggio 2011

L’alchimista – Paulo Coelho

“L’alchimista” è un romanzo campione di incassi, più di un milione di copie vendute, e un sacco di citazioni più o meno autorevoli. Sono sempre scettico sulle letture di massa, sulla critica fatta con il registratore di cassa, ma questa volta sono costretto a ricredermi.
Paulo Coelho, approfittando di una storia semplice e comune (la vita di un “pastorello”), propone una narrazione ricca di episodi e riflessioni che costringono il lettore ad immedesimarsi nel protagonista, trasformando ogni avvenimento in una metafora sulla propria vita: uno specchio di lettura dove ognuno di noi può riconoscersi, protagonista di se stesso, vero attore della propria vita.
Il romanzo racconta la storia di Santiago, un giovane pastore spagnolo che per inseguire un sogno lascia il suo gregge e si avventura in un viaggio che lo porterà fino alle Piramidi, ma che condurrà la sua anima e la conoscenza di se stesso molto più lontano.
La narrazione è molto veloce e scorrevole, e spesso gli episodi narrati sono quasi surreali per esprimere in modo più efficace le riflessioni dell’autore intorno ad argomenti come la speranza e la sicurezza in se stessi. Vietato aspettarsi i tratti di un romanzo di avventura, quanto piuttosto lasciarsi trasportare dalle parole. Alla fine è come se tutto fosse già scritto dentro di noi, e la lettura può solo aiutare a estrarre quanto di più bello ognuno di noi nasconde del proprio animo. Un estremo invito rivolto a tutti perché non ci si rassegni mai a smettere di inseguire i propri sogni, un incoraggiamento profondo e positivo, quasi incosciente ed adolescenziale, ma sicuramente stupendo.
E’ il primo romanzo che leggo di questo autore, e soprattutto il primo che tratta in modo così concreto argomenti tanto astratti e nascosti in ognuno di noi.
Se fosse una canzone, “Peacefull easy feeling” degli Eagles.

lunedì 16 maggio 2011

Il Taumaturgo – Thomas M. Disch

Questo romanzo di fantasia/fantascienza è quello che si potrebbe definire uno dei tanti manifesti della letteratura da Autogrill… il classico libro che compri perché sulla pompa 4 c’è coda, e per uscire dalla toilette devi fare il giro di tutto il minimarket.
La storia di un ragazzino che entra in possesso di un “caduceo”, strumento di origine mitologica che permette di materializzare maledizioni e sortilegi di qualunque entità. Il protagonista comincia così un crescendo delirante di cattiverie verso le persone che lo circondano, attraversando in questo cammino perverso la propria vita all’insegna della megalomania.
L’idea di partenza è originale, e stuzzica divertenti suggestioni nel lettore; purtroppo la narrazione prosegue lenta e piena di banalità, regalando spesso al lettore la volontà di interrompere la lettura. Io sono riuscito ad arrivare fino in fondo, ma solo per la curiosità di vedere a cosa approdasse una narrazione che appare quasi priva di significato.
Lo consiglio solo a chi ha intenzione di punirsi con qualche ora di terribile noia.
Se fosse una canzone, la stupenda “Tuca Tuca” Raffaella Carrà.

martedì 10 maggio 2011

Nelle terre estreme - John Krakauer

La magistrale ricostruzione degli ultimi due anni di vita di Chris McCandless: un giovane sognatore, infinitamente perso nei suoi ideali di contatto con la natura, tanto da perdersi letteralmente nella disperata ricerca di se stesso.
Impressionante il contatto che l’autore trova con il protagonista, e che in modo quasi casuale anima una ricerca frenetica e minuziosa di una serie di particolari e racconti che permettono la creazione di quest’opera, regalando al lettore quanti più elementi possibile per far rivivere a chiunque quel senso di agitazione provato nell’apprendere questo fatto di cronaca.
La storia vera di un giovane che appena laureato abbandona tutti i suoi averi e i rapporti con il mondo conosciuto fino ad allora, per avventurarsi in un viaggio alla disperata ricerca di un senso di equilibrio attraverso letture (Jack London, Henry D. Thoureau) e viaggi che esaltino il contatto con la natura, fino a culminare nell’avventura che gli avrebbe tolto la vita: l’Alaska, vissuta da vicino, in modo selvaggio, e totale.
Chris McCandless
Chris McCandless, o Alex Supertramp come amava farsi chiamare, si avventura a piedi attraverso lo Stampede Trail, un vecchio sentiero che si perde nella foresta del centro Alaska, attraversando il fiume Teklanika e inoltrandosi in una zona completamente isolata: qui troverà ricovero in un vecchio autobus di Fairbanks, abbandonato decenni prima dalla società che avrebbe dovuto realizzare una strada, poi mai completata. Il vecchio autobus diventerà la sua casa e la sua tomba, obbligato alla permanenza dal disgelo che ingrossa il Teklanika rendendo impossibile ogni tentativo di guado.
La bellissima ricostruzione permette al lettore di avvicinarsi al protagonista superando quei giudizi fatti dei soliti luoghi comuni, che lo hanno dipinto come un pazzo squilibrato. Si percepisce concretamente il disagio di un’esistenza segnata da una grande delusione sentimentale in seno alla sua famiglia, e la disperata ricerca di certezze così forti in grado da costituire le basi dell’esistenza.
Bus 142 - Stampede Trail
Chris alla fine vince la sua guerra, scopre quei limiti e quelle soddisfazioni alla base della sua ricerca, impattando dolorosamente contro alcuni errori di valutazione e alcune negligenze, che purtroppo gli sono costate la vita.
Durante la lettura si ha l’impressione di condividere le emozioni provate dal protagonista, forse per l’epilogo noto fin dall’inizio, e trovando un senso di nostalgia e dispiacere per la morte di un ragazzo che alla fine cercava soltanto quella pace interiore che la vita non era riuscita a dargli, preferendo intraprendere un cammino con un obiettivo preciso piuttosto che, come troppi coetanei, soccombere nell’oblio della droga o dell’alcool.
Lo consiglio a tutti quelli che hanno un forte legame con la natura e un animo riflessivo capace di leggere oltre le apparenze. Da questo romanzo è stato anche tratto un film realizzato da Sean Penn.
Se fosse una canzone, “Knocking on heaven’s door” di Bob Dylan