Sono
vent’anni che una persona mi parlò di questo racconto
autobiografico, unico nel suo genere, come di un viaggio prezioso,
che apriva gli occhi troppo chiusi di un presente annichilito dal
progresso e dal profitto.
Confermo
tutto! Dopo averlo letto, anzi divorato, non posso che confermare.
Si
tratta del racconto autobiografico che l’autrice, giornalista
americana di mezza età, offre della straordinaria esperienza
trascorsa con una tribù aborigena vagando per il bush australiano e
vivendo secondo le tradizioni millenarie di questo popolo sconosciuto
e divorato dalla civiltà.
La
trama è essenziale, perché i colpi di scena sono più emotivi che
materiali, la crescita è più mentale che fisica, offendo molti
elementi per riconoscere in questo lavoro un romanzo di formazione
più che autobiografico.
La
protagonista racconta di questo viaggio, che comincia con una scelta
intrigante, la possibilità di aprire una porta e guardarci dentro,
scoprendo aspetti della propria cscienza che mai avrebbe immaginato,
limiti oltre il quale non avrebbe mai scommeso di poter portare il
proprio corpo, guidata da una saggezza e da una esperienza senza
uguali: l’incertezza e l’imprevisto, sconfitti dalla fede in un
equilibrio millenario, dove le nostre frenesie sono nulla e la natura
è tutto. La storia è un trionfo di vita e di ottimismo, di sincera
fiducia che sconfigge le oscure paure, di umiltà contro forza, di
fede contro ragione, di vita contro morte.
Questo
libro, come una mappa, indica una strada, e lascia ad ognuno
l’opportunità di seguirla per cercare quel tesoro che si nasconde
nel magico equilibrio della vita.
Si
legge bene, è veloce, entusiasmante e ti costringe a rileggere
alcuni passi per lo spessore delle riflessioni, nonché per la
bellezza del contesto nel quale tutto è ambientato.
Ecco
alcuni passi particolarmente suggestivi:
Scegli
con saggezza perché potresti ottenere quello che chiedi.
La
tribù della vera gente non crede che noi siamo vittime casuali, ed è
convinta che il corpo fisico sia l’unico mezzo che il nostro più
elevato livello di consapevolezza eterna ha per comunicare con la
nostra consapevolezza intellettuale. Un rallentamento delle funzioni
del corpo ci permette di esaminarci a fondo e di analizzare le ferite
davvero importanti che bisogna medicare: rapporti interpersonali
falsati, mancanza di credo, tumori da paura, dubbi sul nostro
Creatore, perdita di capacità di perdonare e così via.
Spesso
è molto difficile per un uomo lasciar andare qualcosa che gli
appartiene, ma il serpente non è da considerarsi migliore o peggiore
solo perché si libera della vecchia pelle. Compie semplicemente
un’azione necessaria. Solo liberandosi delle cose vecchie si fa
spazio alle nuove, ed è un fatto che il serpente sembra e si sente
più giovane quando si libera del suo vecchio bagaglio.
I
miei amici erano maestri nel fondersi con l’universo, utilizzarlo e
quindi abbandonarlo senza averlo turbato in alcun modo.
Gli
aborigeni sostengono di aver vissuto qui da sempre e gli scienziati
sanno che abitano l’Australia da almeno cinquantamila anni. E’
davvero sorprendente che dopo cinquantamila anni la Vera Gente non
abbia distrutto le foreste, inquinato i corsi d’acqua, messo in
pericolo alcuna specie vivente e causato alcuna contaminazione, senza
restare mai a corto di cibo e riparo. Hanno riso molto e pianto
pochissimo. Vivono un’esistenza lunga, produttiva e sana, e la
abbandonano piena di fiducia.
Inutile
dire che mi è piaciuto tantissimo e ne consiglio, anzi ne
raccomando, la lettura veramente a tutti per l’opportunità di
riflessione in grado di offrire. Lettura indispensabile, capace di
superare il concetto di bello o brutto, fondamentale per accettare
l’importanza della natura e dell’equilibrio nella vita di un
intero sistema.
Se
fosse una canzone, “Adiemus” di Enya.