lunedì 9 dicembre 2013

Barnabo delle montagne – Dino Buzzati


Ho scoperto questo autore con il famosissimo romanzo “Il deserto dei Tartari”, e l’ottimo giudizio suscitato è stato un motivo più che sufficiente per leggerlo ancora.
Il titolo di questo romanzo presenta al lettore quelli che saranno i due protagonisti indiscussi della narrazione: Barnabo e la montagna.
Barnabo è un giovane guardiaboschi che in una dimensione senza tempo, ambientata sulle Alpi bellunesi ragionevolmente tra l’inizio del 1800 e i primi decenni del 1900, presta il proprio servizio in una squadra di presidio, alla quale oltre i consueti compiti di vigilanza è aggiunta la responsabilità della sorveglianza di una vecchia polveriera, dimenticata dalle istituzioni con l’abbandono definitivo del progetto di costruzione di una strada di montagna.
La polveriera è piantata lì, in mezzo ai monti con la sua ingombrante presenza e l’angosciante responsabilità di doverla difendere da un nemico mai visto, una specie di lupo cattivo che cammina silenzioso negli anfratti più scuri del bosco. Ogni tanto il lupo esce e si mangia una pecora: ecco i briganti, che si materializzano con misteriosi rotolii di pietre, voci, passi, spari, ma soprattutto l’uccisione di Del Colle, il capo delle guardie.
La tensione sale, e la montagna con i suoi silenzi implacabili, il freddo, il vento, il buio e la sua sterminata grandezza amplificano il senso di impotenza del protagonista.
Durante un turno di presidio però è proprio il protagonista a commettere l’errore di allontanarsi troppo, proprio quando i briganti ritornano, armati e pronti a tutto come al solito. Vincono di nuovo, sul campo rimane ferito il caro amico Berton, ma soprattutto rimane sconfitto il giovane Barnabo, che assiste alla fase conclusiva dell’attacco, ma per paura non interviene.
Barnabo viene definitivamente allontanato dalle guardie, nel peggiore dei modi: con la medaglia del codardo è costretto a lasciare il paese trasferendosi da un cugino nel cuore della pianura padana e adattarsi a fare il bracciante agricolo. L’unico contatto con il suo passato è un corvo che aveva soccorso e salvato proprio in quell’ultima giornata, ma il giorno in cui la bestiola spiccherà l’ultimo volo, il passato tornerà a far visita al protagonista.
Dopo cinque anni trascorsi nell’inedia di un lavoro mai sentito proprio, l’amico Berton offre al protagonista l’opportunità di una visita in montagna, creando l’aspettativa di un possibile reinserimento nel corpo.
Barnabo ritroverà tutto e tutti, come se il tempo non fosse trascorso, constatando però l’assenza di quel rispetto che una volta perduto la vita difficilmente concede di nuovo. Verrà riassunto come custode, senza una divisa, e senza il privilegio di sentirsi parte di un gruppo, semplicemente da solo a presidiare una baita ormai inutile per l’avvenuto smantellamento della polveriera. Come se ciò non bastasse arriverà anche la consapevolezza di essere irriso dai vecchi compagni, come una mascotte stupida con la quale giocare nei ritagli di tempo. La vita però riserverà un’ultima occasione al protagonista, un’ultima partita per riscattare la propria coscienza almeno davanti a se stesso: i briganti ritornano, e questa volta per Barnabo non può che essere la resa dei conti.
Il ritmo della narrazione è sempre molto lento, silenzioso, come se il lettore venisse trasportato di peso in una dimensione dove le distanze sono ore di cammino, fatica e silenzio, dove non esistono confini se non quelli che ognuno di noi può riconoscere dentro se stesso, dove i predatori possono essere dovunque, dove anche se muori tutto rimane come se tu non fossi mai esistito.
Questa lettura mi è piaciuta molto, in quanto molto suggestiva ed evocativa, pur riconoscendo si tratti di un romanzo di non facile approccio. Ne consiglio la lettura in particolare a coloro che amano la montagna, ne condividono i silenzi e ne apprezzano la durezza, e soprattutto a chi ha un’inesauribile nostalgia delle atmosfere, fatte di attese e dimensioni fuori dal tempo, che Buzzati ha saputo offrire con “Il deserto dei Tartari”.
Se fosse una canzone, “Enjoy the silence” dei Depeche Mode.

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