giovedì 5 settembre 2013

Niente di nuovo sul fronte occidentale – Erich Maria Remarque

Quest’opera è senza dubbio uno dei manifesti mondiali contro l’orrore della guerra, ma anche un freddo e spietato romanzo storico sugli scenari della Prima Guerra Mondiale sul fronte franco-tedesco delle Fiandre.
L’autore stesso partecipa al conflitto proprio in quei luoghi, e la sua esperienza è quanto di più efficace possa esserci per offrire un ritratto così duro del significato oggettivo e umano della guerra. La guerra è solo un insieme di persone, emozioni, dolore e tanta inconsolabile sofferenza dell’anima.
Il romanza narra la storia di un gruppo di studenti tedeschi poco più che adolescenti, che vengono entusiasmati e convinti ad arruolarsi come volontari da un loro docente, molto più idealista che intelligente, alle prime mosse del primo conflitto mondiale, sventolato al mondo come una guerra lampo per le innovative tecniche (armi, trincee, tanks, gas nervini e quant’altro la follia umana potesse partorire con le conoscenze dell’epoca) avrebbe dovuto risolversi in fretta donando pace e equilibri geopolitici finalmente giusti e stabili. Le solite parole che leggiamo tutt’ora per giustificare l’ennesima guerra giusta che si vuole cominciare.
Viene offerto così il racconto del periodo di addestramento, con umiliazioni e angherie da parte del sadico sottufficiale di turno, il trasferimento al fronte ed infine la dura vita della guerra di trincea, fatta di snervanti attese, freddo, caldo, fame, sete, pidocchi, ferite che guariscono male e lentamente, paura, nostalgia e soprattutto morte e sofferenza.
Lo scenario vuole proporre la vita dei protagonisti come un inno alla vita, dove, con mille espedienti e sotterfugi, i ragazzi riescono comunque a gioire del sentimento di amicizia che li unisce in un contesto così terribile: basta un pollo, un fiasco di vino, poche salsicce o della cioccolata per fare festa, per sentirsi vivi, per ricordarsi che la vita è bella anche se la guerra è terribile.
Purtroppo la guerra, nel suo significato più drammatico vince sempre, lasciando a chi ha la sventura di viverla un senso di inconsolabile ingiustizia, sia che si tratti di morti o di feriti. Le guerre non hanno sopravvissuti o vincitori, soltanto morti o reduci e nessuno può uscirne illeso!
Il senso del romanzo è proprio questo. La guerra nella sua spietata durezza riesce addirittura ad essere “equa”: tutti la soffrono, dall’insegnate nazionalista, al terribile caporale istruttore, fino all’ultimo dei ragazzi della comitiva. Tutti muoiono, e lo si comprende già dopo poche pagine di lettura. Non si tratta di un romanzo di avventura dove i buoni vincono sempre, in guerra ci sono solo sconfitti.
La lettura è molto veloce, ma estremamente pesante per le situazioni e le descrizioni così drammatiche da togliere il fiato. Propongo alcuni passi, che ritengo particolarmente incisivi:

Non siamo più spensierati, ma atrocemente indifferenti. Sapremmo forse vivere nella dolce terra: ma quale vita?Abbandonati come fanciulli, disillusi come vecchi, siamo rozzi, tristi, superficiali. Io penso che siamo perduti.

Abbiamo i volti incrostati di fango, le teste vuote, siamo stanchi morti: quando viene l’attacco, certuni bisogna svegliarli a calci e pugni perché camminino: gli occhi sono infiammati, le mani graffiate,  i ginocchi sanguinanti, i gomiti contusi.

Ah mamma mamma! Alziamoci e andiamo via insieme, indietro negli anni, fino a che questa miseria non gravi più sopra di noi, indietro, tu ed io soli, mamma!
Ah mamma mamma, come è possibile che io ti debba lasciare? Chi ha un diritto sopra la mia persona più di te? … Quante cose abbiamo da dirci che non ci diremo mai…
[…] Ero un soldato e ora non sono più che un essere dolorante: per me, per mia madre, per tutta questa desolazione senza fine. Non avrei mai dovuto venire in licenza.

Il silenzio diventa lungo e vasto. Io mi metto a parlare, debbo parlare. Mi rivolgo al morto e gli dico: “Compagno io non ti volevo uccidere. Se tu saltassi un’altra volta qua dentro, io non ti ucciderei, purché anche tu fossi ragionevole. Ma prima tu eri per me solo un’idea, una formula di concetti nel mio cervello, che determinava quella risoluzione. Io ho pugnalato codesta formula. Soltanto ora vedo che sei un uomo come me. Allora pensai alle tue bombe a mano, alla tua baionetta, alle tue armi; ora vedo la tua donna, il tuo volto, e quanto ci somigliamo. Perdonami, compagno!Noi vediamo queste cose sempre troppo tardi. Perché non ci hanno mai detto che voi siete poveri cani al par di noi, che le vostre mamme sono in angoscia per voi, come per noi le nostre, e che abbiamo lo stesso terrore, e lo stesso terrore e lo stesso patire… Perdonami, compagno, come potevi tu essere mio nemico? Se gettiamo via queste armi e queste uniformi, potresti essere mio fratello, come Kat, come Alberto. Prenditi venti anni della mia vita, compagno, e alzati; prendine di più, perché io non so che cosa ne potrò mai fare”.

Vengano i mesi e gli anni, non mi prenderanno più nulla. Sono tanto solo, tanto privo di speranza che posso guardare dinnanzi a me senza timore,. La vita, che mi ha portato attraverso questi anni, è ancora nelle mie mani e nei miei occhi. Se io abbia saputo dominarla non so. Ma finché dura, essa si cercherà la sua strada, vi consenta o non vi consenta quell’essere, che nel mio interno dice “io”.

L’aspetto che ho trovato più doloroso è vedere la trasformazione progressiva dei protagonisti che con il passare del tempo diventano sempre più rassegnati e disillusi, accettando la morte non più come una naturale evoluzione della vita, ma addirittura come un sollievo alle terribili sofferenze patite, alle quali per l’incredibile durezza non può corrispondere nessun altra via di uscita se non il trapasso ultimo.
Non è un romanzo facile, ma ciò nonostante ritengo debba essere una di quelle letture indispensabili per ogni individuo. E’ una lettura cruda, violenta e spietata, piena di particolari macabri e situazioni al limite dell’umana comprensione, ma questi fatti sono successi, e il disagio di dover confrontarsi con certe emozioni, non è nulla in confronto a quanto quei ragazzi hanno dovuto subire sulla loro pelle.
Leggetelo, leggetelo, leggetelo, anche se questo dovesse far vergognare di tutte le volte che ognuno di noi si è lamentato per qualche sciocchezza banale, o anche se alla fine si finirà per provare quel senso di inconsolabile sconforto di fronte a tutte le guerre giuste che ancora si combattono, come se tutti quei ragazzi morti in mezzo a quelle orribili sofferenze non fossero stati sufficienti a comprendere l’assurdità della guerra.

Se fosse una canzone, “Il silenzio fuori ordinanza” di Nini Rosso, un incredibile e struggente interpretazione di tromba che ha fatto piangere decine di giovani in occasione della loro ultima notte sotto le armi, l’ultima prima dell’alba che segnava l’inizio di una nuova vita.
I protagonisti di questo romanzo non hanno mai potuto vivere l’emozione del congedo ne ascoltare questo brano, ma mi piace immaginare che dove si trovano ora possano udirlo ed emozionarsi con la consapevolezza che quelle note sono anche per loro e che non sono stati dimenticati.