venerdì 11 gennaio 2019

I fiumi scendevano a oriente – Leonard Clark

Questo romanzo è il viaggio d’avventura per eccellenza, rafforzato dal maestoso connotato autobiografico e assolutamente travolgente per il lettore, che rimane “prigioniero” di una lettura lunghissima, che aumenta continuamente il senso di curiosità, ma anche di opprimente claustrofobia.
Clark propone al mondo la propria esperienza giovanile di ricerca folle e disperata, del più infantile dei sogni, la ricerca di un tesoro, che nel suo caso è “Il Tesoro”, quello più grande, ambito, ricercato, insanguinato, perduto, nascosto, sognato, non trovato, mai esistito, leggendario di tutti i tempi: l’El Dorado, la città d’oro degli Incas.
Clark con in mano pochissimi soldi, un equipaggiamento scarno, una mappa, che come tutte le mappe è “autentica”, parte da Lima negli ‘40 per spingersi verso est nelle remote regioni inesplorate dell’Amazzonia.
Ad accompagnarlo nella delirante follia, una guida peruviana di nome Jorge, che con stupefacente forza e costanza guida il suo compagno nella più nobile delle missioni: cercare contatti con i temili “brujos”, shamani in possesso di pozioni miracolose per trovare cure medicali che la medicina non riesce a raggiungere attraverso i percorsi tradizionali della scienza. Ovviamente, la bugia deve tenere nascosto il vero obiettivo, in quanto sarebbe solo una minaccia in più per il protagonista.
Comincia così un viaggio incredibile in un crescendo di difficoltà fatte di foreste impenetrabili, serpenti velenosi, piogge torrenziali, ma soprattutto popolazioni che di umano hanno soltanto le sembianze: usi, costumi, tradizioni, ma soprattutto un’incredibile violenza, fatta di sangue e assenza assoluta del concetto di pietà. Si assiste quindi a punizioni tribali, torture, mutilazioni, uccisioni, decapitazioni, pratiche di riduzione di teste mozzate, proposte in modo assolutamente originale, ma sempre fastidioso e disgustoso… purtroppo la considerazione che sia tutto successo davvero non distrae mai il lettore.
La lettura è lunga e spesso si percepisce la volontà dell’autore a rallentarne il ritmo, perché una delle minacce più spaventose è stata proprio l’isolamento temporale in una dimensione nella quale lo scorrere stesso del tempo subiva accelerazioni improvvise o sfiancanti rallentamenti.
Il romanzo, entusiasma, spaventa, annoia, incuriosisce, suscitando emozioni continue che non fanno abbandonare mai la lettura. Soprattutto fa riflettere molto su concetti quali libertà, identità culturale, tradizioni, vita/morte, ma prima su tutte la sete di ricchezza (soldi, fama, successo) quale motivazione per mettere in discussione la propria vita, subordinandola come sacrificio per giusta causa al mitico traguardo.
Mi è piaciuto, ma non posso dire che sia una lettura semplice, in quanto pur parlando di un viaggio, non si riesce a classificare come romanzo di viaggio, in quanto troppi elementi prevalgono sulle intenzioni del protagonista.
Se fosse una canzone, “Run to the hills” degli Iron Maiden.