Ho sentito molto parlare di Mauro Corona, dei suoi successi
come alpinista e anche delle sue numerose pubblicazioni. Ho scelto questa
raccolta di novantatre di racconti per caso, senza un motivo vero,
semplicemente perché avevo voglia di conoscere questo scrittore.
Ho cominciato a leggere questa raccolta e devo confessare
che ancor prima di iniziare temevo di trovarmi di fronte ad una copia mal
riuscita di “Stagioni” di Mario Rigoni Stern. Invece fin dall’inizio Corona
riesce a rapire il lettore con entusiasmo offrendo un ritratto della propria
vita, segnata da situazioni, esperienze, persone, che alla termine della
lettura avranno tutte lasciato un segno. Corona offre la propria esperienza di
vita con straordinaria umiltà, celebrando più i propri insuccessi che le
proprie vittorie: e dire che titoli per vantarsi ne avrebbe anche parecchi,
alla luce di tutti i suoi successi sportivi come alpinista.
Invece preferisce parlare di quella volta che ha mollato la
scalata, o di quando non ha trovato la cima giusta, per non parlare di tutti i
racconti sul suo passato da operaio in una cava di estrazione di marmo.
Dalla lettura emerge una grande amore ed un infinito
rispetto per la natura, valori che proposti con la sua straordinaria umiltà
assumono connotati ancora più profondi: a tale proposito rimane emblematico ed
indimenticabile il racconto “Lezione di civiltà”, tutto incentrato su un
incontro casuale avvenuto nell’estate del 67 tra l’autore ed un anonimo
alpinista, con un epilogo davvero significativo per la formazione del concetto
di rispetto della natura.
Potrei andare aventi a riportare esempi per sottolineare il
grande valore umano e la capacità narrativa di questo autore, ma finirei
soltanto per togliere fascino alla lettura a chi non ha ancora scoperto
quest’opera.
La narrazione è sempre avvincente, con un ritmo veloce e
incalzante, e le descrizioni delle persone sono travolgenti ed appassionate. Nei
racconti si parla continuamente di Erto (PN), suo paese natale e luogo dove
attualmente vive; nell’agosto del 2013 ho visitato quei luoghi e ora ho
soltanto il rammarico di non aver scoperto prima questo scrittore, perché sarei
certamente andato a cercarlo per stringergli la mano!
Propongo un passo tratto da un suo racconto:
Mi escono battute sarcastiche quando leggo o sento definire
la montagna assassina. La montagna non è assassina, se ne sta lì e basta. Siamo
noi i killer di noi stessi, che non sappiamo vivere, che usiamo il profumo per
l’uomo che non deve chiedere mai, che abbiamo dimenticato la carità, la
riconoscenza, il rispetto, che distruggiamo la natura. La vita è un segno di
matita curvo e sottile, che finisce ad un certo punto. Per molti è lungo, per
altri corto, per altri non parte nemmeno.
Se fosse una canzone “The Bard’s Song” dei Blind Guardian
nell’indimenticabile versione unplugged.
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