Ecco un'altra romanzo imperdibile, solitamente proposto tra
le letture giovanili, è un vero capolavoro.
E’ la storia di un cane, Buck, che per uno scherzo beffardo
del destino, viene strappato dalla sua comoda vita di cane di compagnia in una
famiglia ricca californiana e gettato come cane da slitta nell’infernale corsa
all’oro dell’Alaska del XIX secolo.
La trama può apparire banale, ma nella sua semplicità è
un’occasione strepitose per presentare al lettore la forza della natura,
dominata da istinti e sopravvivenza, e la cattiveria umana, fatta di cupidigia
e avidità. Buck è soltanto un pretesto per parlare di tutto questo, un modo per
tradurre quest’opera da romanzo per ragazzi a strepitosa parabola sulla vita, dove
la determinazione e lo spirito di adattamento possono essere la ricetta per
riscattarsi da ogni avversità. Il protagonista, pur essendo soltanto un cane,
diventa un personaggio eroico, dall’ingenuità disarmante e dalla forza di
volontà incrollabile, che accompagna il lettore in un’esperienza davvero
emozionante e avvincente. Indimenticabile il rapporto di amicizia che nasce tra
il protagonista e il trapper John Thorton.
Molto interessante inoltre è la prefazione di Oriana Fallaci
dell’edizione della Rizzoli, nella quale la grande filosofa offre riflessioni e
spunti sul personaggio protagonista, lasciando al lettore elementi in grado di
trasformare la lettura in una visione più profonda di quella che si potrebbe
riconoscere ad un semplice romanzo di avventura.
Ripropongo alcuni passi molto suggestivi:
Al primo passo sulla superficie fredda, le zampe di Buck
affondarono in qualche cosa di bianco e di morbido, molto simile al fango.
Balzo indietro sbuffando. Una gran quantità di quel fango bianco si agitava
nell’aria. Si scosse; ma continuava a venirgli addosso. Annusò curiosamente
quella cosa e si proò a leccarla. Sembrava fuoco e subito scompariva. Buck non
capiva più nulla. Provò ancora lo stesso risultato. Intorno a lui quelli che lo
guardavano ridevano forte, ed egli si sentì pieno di vergogna senza sapere
perché: era la prima neve che vedeva.
Doveva dominare o essere dominato; e mostrar pietà sarebbe
stato debolezza. La pietà non esisteva nella vita dei primordi. Veniva
considerata come paura, e questo malinteso significava morte. Uccidere o essere
ucciso, mangiare o essere mangiato, era questa la legge; e a questo
comandamento che sorgeva dalle profondità del tempo egli prestava obbedienza.
John Thorton chiedeva poco all’uomo o alla natura. La zona selvaggia
non lo spaventava. Con una manciata di sale e un fucile poteva immergersi nella
foresta vergine e nutrirsi dove voleva e quanto voleva. Non avendo fretta, al
modo degli indiani, dava la caccia al proprio desinare durante il viaggio; e se
non lo trovava, al modo degli indiani, continuava a viaggiare con la certezza
che prima o poi lo avrebbe trovato. Così, in questo gran viaggio verso l’Est la
cacciagione fu il loro cibo, le munizioni e gli attrezzi costituirono il
principale carico della slitta, e il termine del viaggio fu stabilito nel
futuro senza limiti.
Inutile dire che mi è piaciuto tantissimo e ne raccomando la
lettura a chiunque: veloce, incalzante e serrato, in grado di donare suggestioni
uniche circa la natura e le sue regole, nonché meravigliosa fonte di
riflessione sul concetto di uomo quale dominatore/padrone.
Se fosse una canzone la magistrale “Promentory” di Trevor
Jones.
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