mercoledì 28 ottobre 2015

Scomparsi sull’Everest. Il mistero della spedizione Mallory-Irvine – Peter Firstbrook



Questo saggio ripropone uno degli episodi più controversi e famosi della storia dell’alpinismo mondiale: la conquista del tetto del mondo; il titolo e la copertina sono sufficienti per non lasciare spazio ad interpretazioni. La storia è quella della celebre ascensione del 1924,  la terza ad opera della stessa compagnia che nel giugno di quell’anno tenta l’estrema impresa. L’epilogo è ormai famoso: i due alpinisti che avrebbero dovuto raggiungere la cima non rientreranno mai al campo VII, lasciando senza risposta il quesito se siano morti salendo oppure durante la discesa e quindi dopo aver conquistato, per primi (!), il tetto del mondo.
Il libro è fatto molto bene, e dopo una presentazione iniziale della zona vengono illustrate le prime spedizioni di avvicinamento, offrendo al lettore la consapevolezza di quanto fosse difficile e ostile quel territorio affrontato con le tecnologie di quasi un secolo fa. Le spiegazioni sono molto chiare e nello stesso tempo approfondite, con il risultato di offrire uno scenario ancora più drammatico di quanto ci si possa aspettare. Vengono poi presentati tutti i protagonisti delle tre spedizioni inglesi, riconoscendo da subito in Mallory un avventuriero scatenato, bizzarro, ma anche maldestro e spesso sprovveduto, dotato di grande coraggio e forza fisica.
L’epilogo è offerto con i resoconti di spedizioni successive nelle quali verranno rinvenuti attrezzi usati dai due alpinisti scomparsi, purtroppo insufficienti a ricostruire con esattezza quella tragica giornata.
Nella seconda parte viene illustrata la spedizione del 1999, alla quale partecipa anche l’autore, finalizzata alla ricerca di un corpo avvistato da una spedizione cinese del 1975. Il corpo viene ritrovato, e dall’esame dei resti si scoprirà trattarsi proprio di Mallory.
Vengono poi offerte molte ricostruzioni possibili circa la fine dei due alpinisti, ma nessuna assolutamente certa:il mistero rimane e ad oggi i primi conquistatori dell’Everest rimangono Edmund Hillary e Tenzing Norgay… impresa di ventinove anni dopo!
Ripropongo due passi molto belli:

Le prime impressioni che ebbe John Noel nel 1913 sono ancora attuali: “Questo paese tremendo, che gli abitanti reputano il più bello del mondo, esercita un fascino indimenticabile. La vita in Tibet è dura come in nessun altro luogo, ma il viaggiatore desidera sempre ritornare alla selvaggia grandezza della montagna e della vastità della pianura rocciosa”.

Un giornalista chiese a Mallory perché desiderasse tanto scalare l’Everest, ottenendo la famosa risposta: <<Perché c’è!>>.

Questo libro mi è piaciuto tantissimo, la lettura è sempre avvincente, ricca di particolari e le tante fotografie presenti regalano al lettore un’interpretazione molto più reale di quella che la fantasia di chi non conosce i luoghi potrebbe costruire. Inoltre al fondo del libro è presente una ricchissima raccolta di note bibliografiche, fonte preziosa per chi volesse approfondire gli argomenti trattati.
Se fosse una canzone, la stupenda “Nothing else matters” dei Metallica.

martedì 11 agosto 2015

Il giovane Holden – J. D. Salinger



Questo romanzo è uno dei classici che solitamente vengono proposti agli adolescenti, ma come già successo per altri capolavori mi trovo a scoprirlo soltanto ora, che un adolescente non sono più da un bel pezzo.
Si tratta di un romanzo adolescenziale, per certi versi può essere considerato anche un romanzo di formazione, tutto incentrato sulla vita interiore del protagonista, Holden Caufield, adolescente disadattato e ribelle. La storia, ambientata negli Stati Uniti tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’50, si svolge tutta in una manciata di giorni, ed è l’epilogo dell’ennesima espulsione del protagonista dalla prestigiosa scuola che frequenta. L’episodio sconvolge l’equilibrio del protagonista, per le evidenti ripercussioni sui rapporti con i genitori, in un delicato equilibrio di amicizie, relazioni, sogni, aspettative condite con confusione totale, immaturità disarmante e a volte anche tenerezza. Holden è tutto questo, un ragazzino solo, segnato dalla vita per la morte del fratello, che vuole a tutti i costi essere (e sembrare soprattutto a se stesso) un uomo adulto. Essere uomini per un adolescente così confuso è difficilissimo, e la vita non risparmia certo durezza e violenza, ma nonostante questo Holden riuscirà a tenersi aggrappato a quanto di più importante la vita possa offrire: la famiglia. Nel rapporto con la sorellina troverà la forza e il coraggio per non affondare, profondamente motivato dall’importanza che costituisce il ruolo di fratello maggiore.
Ripropongo un passo che mi è sembrato molto significativo:

Il capitombolo che secondo me ti stai preparando a fare… è un tipo speciale di capitombolo, orribile. A chi precipita non è permesso di accorgersi né di sentirsi quando tocca il fondo. Continua soltanto a precipitare giù. Questa bella combinazione è destinata agli uomini che, in un momento o l’altro della loro vita, hanno cercato qualcosa che il loro ambiente non poteva dargli. O che loro pensavano che il loro ambiente non potesse dargli. Sicchè hanno smesso di cercare.
[…]
Ciò che distingue l’uomo immaturo è che vuole morire nobilmente per una causa, mentre ciò che distingue l’uomo maturo è che vuole umilmente vivere per essa.

Il romanzo è molto particolare, offrendo come protagonista un antieroe perdente, che ostenta con supponenza e arroganza la propria volontà di evadere dalla condizione adolescenziale, rimediando continuamente sconfitte, delusioni, ma anche botte e ferite. La narrazione è proposta come un lunghissimo monologo fatto dal protagonista con se stesso, intervallato dai dialoghi con altri personaggi, ma in tutti i casi si tratta di conversazioni irriverenti, provocatorie, ribelli anche quando non ve ne sarebbe alcun bisogno: Holden è tutto questo, un ribelle contro.
La lettura mi è piaciuta molto, e penso che il tema della solitudine possa essere un ottimo spunto per consigliarne la lettura a tutti.

Se fosse una canzone “I need a hero” di Bonnie Tayler

mercoledì 8 aprile 2015

Pantani è tornato – Davide De Zan



Davide De Zan non poteva trovare un titolo migliore per proporre al pubblico questa denuncia sconvolgente, ed estremamente raccapricciante, fatta sugli episodi che toccarono uno dei più grandi eroi sportivi di tutti i tempi: la sua esclusione dal Giro d’Italia del 1999 e la sua morte il 14.02.2004.
Tutto nasce da troppe incongruenze, ombre, contraddizioni, che solo la caparbietà e l’impegno, di uno che di Pantani era davvero amico, riescono a smuovere portando alla riapertura delle indagini da parte della Procura di Rimini il due agosto 2014.
In questo libro non si parla soltanto del “dopo”, ma De Zan riesce a raccontare alcuni episodi che dipingono con immensa nostalgia i connotati di un grande sportivo, che prima delle medaglie era soprattutto un grande uomo. Marco non c’è più, ucciso due volte, prima da un’accusa infamante quando era all’apice del proprio successo, e poi da una morte disperata che tutto sembra tranne che un suicidio. O forse no, forse non è vero che non c’è più perché nessuno potrà mai cancellare dal cuore di milioni di tifosi le sue imprese memorabili, il ricordo di aver creduto in un sogno, al quale interessi, invidie e chissà cos’altro hanno bruciato le ali.
De Zan è bravissimo a riaccendere l’animo di chi non si è mai rassegnato a quella verità troppo assurda, e soprattutto straordinariamente preciso nel raccontare particolari in grado di stravolgere le certezze anche di coloro che credevano ciecamente alle apparenze che volevano Pantani dopato e suicida per ovedose di cocaina. La verità è un’altra e prima o poi emerge sempre.
Propongo alcuni passi molto toccanti:

Un attimo dopo la strada cominciò ad inclinarsi sotto le nostre ruote e la forza di gravità a farsi sentire.
Leggero come un soffio di vento, con quel suo stile unico al mondo, il Panta si alzò sui pedali. Ci salutò e volò via, scomparendo veloce davanti ai nostri occhi. Il talento puro che scorreva in lui disegnava la differenza tra il campione e i semplici mortali. Su di lui la forza di gravità non aveva effetto.

Allora ripensavo a ciò che mi avevi insegnato tu, in una sera d’estate, al chioschetto di Tonina. <<Davide>>  mi avevi detto <<la vita ti può mettere in ginocchio. Ti può spezzare le gambe come ha fatto con me. Ma se lo vuoi veramente, tu ti puoi sempre rialzare e puoi tornare a correre più forte di prima.>>
E non erano solo parole. Tu l’avevi fatto, me l’avevi dimostrato.

Tu eri Marco Pantani. Meravigliosamente unico. Le tue non erano semplici vittorie. Ogni volta era sempre un’impresa, un volo solitario, un sogno.
E i sogni, almeno quelli non li può uccidere nessuno.

Inutile dire che la lettura mi è piaciuta tantissimo, e che la raccomando a tutti coloro che hanno sempre creduto in quel supereroe con le orecchie a sventola e gli orecchini, a tutti quelli che dopo aver arrancato su una salita con una bici da corsa (ma anche una mtb va bene lo stesso) e compreso cosa sia la fatica dei pedali, hanno voglia di riconoscere la verità dei fatti ad un uomo che aveva vinto tutto.
Se fosse una canzone “E mi alzo sui pedali” degli Stadio: pezzo composto proprio in onore di Marco.
Se ci fosse ancora qualcuno che non conoscesse Marco Pantani consiglio di riguardarsi (ed emozionarsi!!) gli scatti più belli tratti dal Sfide, lo speciale dedicatogli da Rai Tre.

venerdì 27 marzo 2015

Nel legno e nella pietra – Mauro Corona



Ho sentito molto parlare di Mauro Corona, dei suoi successi come alpinista e anche delle sue numerose pubblicazioni. Ho scelto questa raccolta di novantatre di racconti per caso, senza un motivo vero, semplicemente perché avevo voglia di conoscere questo scrittore.

Ho cominciato a leggere questa raccolta e devo confessare che ancor prima di iniziare temevo di trovarmi di fronte ad una copia mal riuscita di “Stagioni” di Mario Rigoni Stern. Invece fin dall’inizio Corona riesce a rapire il lettore con entusiasmo offrendo un ritratto della propria vita, segnata da situazioni, esperienze, persone, che alla termine della lettura avranno tutte lasciato un segno. Corona offre la propria esperienza di vita con straordinaria umiltà, celebrando più i propri insuccessi che le proprie vittorie: e dire che titoli per vantarsi ne avrebbe anche parecchi, alla luce di tutti i suoi successi sportivi come alpinista.

Invece preferisce parlare di quella volta che ha mollato la scalata, o di quando non ha trovato la cima giusta, per non parlare di tutti i racconti sul suo passato da operaio in una cava di estrazione di marmo.

Dalla lettura emerge una grande amore ed un infinito rispetto per la natura, valori che proposti con la sua straordinaria umiltà assumono connotati ancora più profondi: a tale proposito rimane emblematico ed indimenticabile il racconto “Lezione di civiltà”, tutto incentrato su un incontro casuale avvenuto nell’estate del 67 tra l’autore ed un anonimo alpinista, con un epilogo davvero significativo per la formazione del concetto di rispetto della natura.

Potrei andare aventi a riportare esempi per sottolineare il grande valore umano e la capacità narrativa di questo autore, ma finirei soltanto per togliere fascino alla lettura a chi non ha ancora scoperto quest’opera.

La narrazione è sempre avvincente, con un ritmo veloce e incalzante, e le descrizioni delle persone sono travolgenti ed appassionate. Nei racconti si parla continuamente di Erto (PN), suo paese natale e luogo dove attualmente vive; nell’agosto del 2013 ho visitato quei luoghi e ora ho soltanto il rammarico di non aver scoperto prima questo scrittore, perché sarei certamente andato a cercarlo per stringergli la mano!

Propongo un passo tratto da un suo racconto:

Mi escono battute sarcastiche quando leggo o sento definire la montagna assassina. La montagna non è assassina, se ne sta lì e basta. Siamo noi i killer di noi stessi, che non sappiamo vivere, che usiamo il profumo per l’uomo che non deve chiedere mai, che abbiamo dimenticato la carità, la riconoscenza, il rispetto, che distruggiamo la natura. La vita è un segno di matita curvo e sottile, che finisce ad un certo punto. Per molti è lungo, per altri corto, per altri non parte nemmeno.

Se fosse una canzone “The Bard’s Song” dei Blind Guardian nell’indimenticabile versione unplugged.

lunedì 23 febbraio 2015

Vita di alpeggio – Marzia Verona



Ho visto questo libro su una bancarella, una di quelle che vendono libri usati a prezzi ridicoli, ed è stato come il richiamo di una sirena. Era l'unica copia, in condizioni impeccabili, di quelle che danno l'impressione che il libro si trovi lì per sbaglio; avevo già letto una pubblicazione di Blu Edizioni (Le strade dei cannoni) e il grande valore di quella lettura è stato un invito a non lasciarmi scappare questo libro. Ammetto, inoltre, che il titolo e la copertina fossero loro stessi una valida motivazione per stuzzicare la mia curiosità verso un mondo che ho sempre osservato con grande ammirazione pur non avendone fatto mai parte.

Questo libro si presenta come un saggio sugli alpeggi piemontesi, che approfondisce e accompagna il lettore in tutti gli aspetti che compogono oggi questa pratica di allevamento dalle tradizioni millenarie.

Si parla di tutto, dalla transumanza alle difficoltà date dal meteo, dalle varie tipologie di pratica alla caseificazione, dalle fiere alle rapporto con i turisti, senza dimenticare l’aspetto più umano, fatto di successi, sconfitte, soddisfazioni e solitudine. L’autrice offre un bellissimo ritratto di un mondo antico, vivo e tutt’altro che rassegnato al progresso, corredando le argomentazioni con la voce diretta dei protagonisti, implementando il valore già alto della spiegazione con il punto di vista dei diretti interessati, vero elemento di identità di un mestiere che ha più i connotati di una scelta di vita fatta di tradizioni e soddisfazioni che di profitto e successo economico.

La spiegazione è poi corredata da numerose fotografie, per condurre anche gli occhi su particolari che le parole hanno già spiegato: scelta, questa, che ritengo veramente straordinaria, soprattutto per la qualità delle fotografie, con soggetti ritratti in modo volutamente semplice, dove i sorrisi prevalgono sulle proporzioni e i contrasti tra i colori non hanno mai il valore dell’espressività degli insiemi.

Personalmente ho trovato molto bello il senso di malinconia, espresso con racconti rassegnati e pessimisti di chi vede la propria vita sempre più oppressa da sempre più grandi difficoltà, contrapposto all’ottimismo e l’entusiasmo di chi intraprende con caparbietà questa vita sicuramente non facile. Ripropongo un passo, molto evocativo, citato nel libro: 

Vedi un pastore che passa con il suo gregge e senti un desiderio di liberarti di tutto quello che di artificioso ti circonda e di partire e di andare per strade polverose con la solida e vecchia terra sotto i piedi e l’ampio e vecchio cielo sopra la testa e respirare aria che sa di aria vera, vedere nuvole e vaste distese di terra ed erbe e fiori … E’ un sogno, è un ritorno all’infanzia e ai bei sogni di allora.Per questo, quando i pastori passano, lungo le strade, la gente  accorre e guarda e ha un sorriso strano stampato sulla faccia, e saluta e aspetta una risposta, qualsiasi forse… (G. Bini e G. Vicquéry, “Fame d’erba”.)

Foto tratta dal libro
Leggere questo libro diventa uno strumento efficace per osservare, e soprattutto comprendere, un mondo lontanissimo dalla vita quotidiana delle città, ma anche dal concetto di contatto con la natura che spesso possiede chi si reca in montagna come escursionista.

La lettura è sempre avvincente, come molto raramente succede con un saggio, e il lettore ha sempre l’impressione di avere di fronte i luoghi e i protagonisti, riconoscendo nell’autrice più un accompagnatore che una guida, rendendo la comprensione veramente facile e piacevole per tutti. Oltre a spiegazioni, interviste e fotografie, nel libro ci sono anche un elenco di tutti gli alpeggi e una raccolta di fiabe e leggende, che offrono nell’insieme un’opera dal valore inestimabile.

L’autrice è bravissima, perché riesce a spiegare in modo semplice e diretto, ma anche estremamente approfondito, un mondo poco conosciuto, ma estremamente importante per la conservazione del nostro patrimonio storico, economico, culturale, gastronomico, ma anche ambientale e naturalistico. Durante la stesura di questa recensione ho anche scoperto che Marzia Verona ha un sito internet, ma soprattutto un blog vivo e continuamente aggiornato sul mondo della pastorizia: da una prima occhiata mi pare molto bello e decisamente sullo stile di questa lettura.

Inutile dire che questo libro mi sia piaciuto tantissimo: ho sempre sognato di partecipare ad una transumanza, ma la mia passione per la campagna si ferma alla fattoria di famiglia, con bosco, mucche e pecore; l’alpeggio è un’altra cosa e quest’opera, scritta girando i luoghi ed incontrando i protagonisti, è assolutamente indispensabile per comprendere la montagna con una prospettiva diversa da quella che tutti abitualmente conoscono.
Se fosse una canzone, l'indimenticabile "I'll go on loving you" di Alan Jackson.

Vita di San Francesco d’Assisi – Renato Della Torre



Questo libro è un saggio molto ben scritto sulla vita del celebre Santo. Le librerie sono colme di pubblicazioni simili, soprattutto nelle librerie dei luoghi frequentati da San Francesco, e la scelta può risultare difficile: questo fu proprio il mio dilemma quando acquistai questo volume direttamente nella Basilica di Santa Maria degli angeli ad Assisi (PG).
Posso però rassicurare tutti quei lettori che cercano una lettura semplice e diretta, senza interpretazioni e visioni mistiche dell’autore, ricercando semplicemente la storia del Santo: questo libro è esattamente questo. Si presenza la vita di San Francesco, con grande approfondimento di particolari umani, storici e spirituali, offrendo citazioni geografiche e contemporanee alla vita del Santo. La narrazione diretta è semplice riesce a trasmettere al lettore anche lo stato d’animo del Santo, ripreso nello sviluppo della sua vita, dalla nascita, fino a dopo la sua morte, passando per la sua famosa conversione.
San Francesco fu da allora il manifesto dell’umiltà, che con pazienza, abnegazione, fatica e infinito entusiasmo riuscì a donare al mondo una visione nuova della vita. La proclamazione di Papa Bergoglio con il nome di Francesco è stata un’occasione per ridare nuova visibilità ad un uomo che con le sue idee e le opere ha offerto un nuovo modo di pregare creando una prospettiva della fede accessibile a tutti ed estremamente attuale, nonostante siano trascorsi quasi ottocento anni dalla sua morte.
Ripropongo un paio di passi, con i quali tra gli altri l’autore offre spunti di riflessione sulla fede e sul senso della vita che animavano San Francesco:
Voleva che i suoi frati si mostrassero sereni e lieti perché la tristezza, diceva, deriva dalla mancanza di fede e dalle insidie del diavolo, il quale riesce spesso a spargere una sua malefica polvere in qualche spiraglio della coscienza.

Pensava a quando, qualche anno prima, passava per quelle strade, pieno d’energia e di speranza, sorretto dalla sua grande fede e dal suo ideale di Povertà. Forse in quei momenti di ricordi si sentiva salire dal profondo dell’anima un’onda di malinconia che lo lasciava smarrito e timoroso. Bastava però una preghiera a fargli riprendere coraggio.


Basilica di S.Francesco - Agosto 2014
Il libro mi è piaciuto moltissimo e ne consiglio la lettura a tutti perché trattasi di un’opera semplice e diretta, in grado di farsi comprendere e trasmettere al lettore numerosi spunti di riflessione assolutamente attuali e moderni, facili da riconoscere nelle pieghe della vita di tutti i giorni.
La lettura dona conoscenza, e purtroppo anche la consapevolezza di come anche San Francesco sia stato utilizzato come spunto per numerose produzioni cinematografiche che nulla o poco avevano a che fare con la sua vita, distorcendo una realtà che per suo volere doveva essere il più semplice possibile.
Se fosse una canzone “Rhymes and reasons” di John Denver.