mercoledì 5 settembre 2012

Due uomini e un furgone – Ian Sansom


Questo romanzo è il terzo capitolo della “saga” del bibliobus di Tundrum, piccolissimo paese sperduto nell’anonima provincia nord irlandese. I protagonisti sono sempre il giovane inglese Israel Armstrong e il burbero irlandese Ted Carson, in compagnia dell'insopportabile cane e ovviamente del loro inseparabile furgone: il bibliobus appunto.
A rompere la monotonia quotidiana fatta di stanchezza e necessità di cambiamento, per il giovane Israel arriva la convention annuale dei bibliobus e l’amministrazione di Tundrum decide di far partecipare anche il proprio veicolo.
Il viaggio avventuroso è condito di incontri divertenti e situazioni inaspettate, ma anche di riflessioni tutt’altro che banali sul concetto di casa e di radici individuali. Per Israel sarà tutt’altro che un viaggio di piacere utile a rompere la monotonia: il suo luogo di origine è cambiato, nel suo vecchio posto di lavoro non ci sono più gli esilaranti amici/colleghi, e soprattutto la sua fidanzata Gloria è scomparsa, ingoiata da una relazione a distanza molto più complessa nei fatti che nelle intenzioni.
Il romanzo è spesso divertente, ma soprattutto all’inizio si ha difficoltà a prendere contatto con la storia (forse perché sarebbe utile cominciare la lettura con gli altri due capitoli precedenti della saga) e i dialoghi, e le descrizioni forse troppo accurate, rendono il ritmo lentissimo e spesso mi sono trovato in procinto di abbandonare la lettura. Poi, con lo svolgimento della storia, la narrazione assume un ritmo più incalzante, condito da dialoghi e situazioni divertenti e comunque delineando già al lettore il significato della storia.
Lo consiglio a tutti: si tratta di una lettura semplice, ma anche utile a riflettere sul concetto di radici individuali.
Se fosse una canzone “Welcome home” dei Metallica.

venerdì 6 luglio 2012

L’uomo nero e la bicicletta blu – Eraldo Baldini


Se non si conoscesse Eraldo Baldini, leggendo questo romanzo ci si potrebbe aspettare una storia comune fatta di episodi semplici raccolti con l’intenzione di distrarre e divertire il lettore. Tutto questo però è solo l’apparenza: anche questa volta Baldini offre un noir, proposto però come ricordo d’infanzia del protagonista, che ancora bambino non riesce a delineare i contorni di tante situazioni offrendo episodi di vita divertentissimi, ma trasmettendo la percezione di qualcosa di terribilmente grave in arrivo.
E’ la storia di Gigi, che racconta un periodo della propria infanzia all’inizio degli anni ’60, quando stava concludendo le scuole elementari e iniziava a scoprire il mondo circostante. Quasi tutto il romanzo è un prologo e un’occasione per raccontare il suo grande amore per Allegra una bambina di città trasferitasi nel suo mondo. Il suo mondo è Bagnago, un paesino rurale della provincia emiliana. La povertà è ancora tanta, e Gigi ricorda le grandi difficoltà della propria famiglia segnate dal difficile passaggio dall’economia agricola a quella industriale.
La vita quotidiana è raccontata intorno a due elementi: la trascinante attrazione per la solare e innamorata Allegra e il disperato tentativo del protagonista di mettere insieme la somma di denaro necessaria per acquistare la tanto sognata bicicletta blu, in vendita presso il negozio del paese, confrontandosi con le difficoltà e le contraddizioni della propria famiglia, ma anche con gli altri abitanti del paese. In questo modo vengono offerte descrizioni stupende e dialoghi divertentissimi, intorno a situazioni bizzarre e uniche. Come dimenticare il cugino Luciano e il suo famelico cane Pesscan? Poi il tonto Paolino, Roberto Amadori e le sue balle, il nonno ed Enrico il fratellino del protagonista, il Capitano e il suo oscuro passato, Carlino con la sua palla gigante, ma anche la signora Tugnina e le sue favole che finiscono tutte con l’arrivo dell’Uomo Nero.
Già, l’Uomo Nero. Compare dall’inizio, nel titolo ancora prima del protagonista e della bicicletta tanto desiderata, come a ricordare che anche se non si vede, il Male è sempre presente, magari ben nascosto, ma sicuramente in agguato. L’Uomo Nero è un signor nessuno che vive in mezzo alle pieghe della vita di tutti noi, un lupo dietro i cespugli di cui ci si ricorda soltanto dopo aver perduto un’altra pecora, quella che per lui è soltanto l’ultima preda.
Le prede non si difendo mai, soccombono di fronte al mistero della vita, unica giustificazione del Male e della sua espressione, che con la sua irruenza cancella la spensieratezza e la serenità dell’infanzia, trasformando in modo irreversibile una vita spensierata, in una grigia esistenza. Troppo facile, dopo aver letto questo libro, pensare a grandi casi di cronaca che hanno sconvolto le coscienze.
Propongo un passo che ritengo particolarmente forte e incisivo:

- L’Uomo Nero! Arriverà; dovresti saperlo perché te l’ho raccontato tante volte, lui arriva sempre. Anzi, è già qui, è qui da tanto tempo, ma adesso ha fame. E lo sai cosa mangia vero?
- Le persone?
- Esatto. Le persone!

Il romanzo è stupendo e indimenticabile! Il ritmo della narrazione è velocissimo e molto spesso ci si sorprende a scoppiare a ridere, per poi tornare seri oltrepassando l’apparenza del punto di vista di un bambino e riflettendo su situazioni che nulla hanno di comico. Le riflessioni che stuzzica sono molto profonde,come il senso di sgomento e angoscia che lasciano.
Meravigliosa la descrizione dell’Amore tra due bambini di undici anni, un sentimento fatto di passeggiate per mano, sguardi, cuoricini disegnati e teneri regalini; questo romanzo mi piace ricordarlo così, come una meravigliosa storia d’amore…
Consiglio la lettura a tutti, ma avverto che non si tratta di un romanzo da ombrellone.

Se fosse una canzone penso che non potrebbe esserci nulla di più espressivo di “Fear of the dark” degli Iron Maiden.

venerdì 8 giugno 2012

Cuore – Edmondo De Amicis


Cuore è il capolavoro di Edmondo De Amicis, nonché l’opera con la quale l’autore ha conquistato una fama ormai intramontabile nei secoli.
Il romanzo è stato scritto all’indomani dell’Unità d’Italia, nel periodo dell’incoronazione di Re Umberto I, in una Torino da poco non più capitale e animata ancora da entusiasmi rinascimentali di grande coesione sociale.
L’autore propone sottoforma di diario i ricordi di un anno scolastico di un bambino borghese, Enrico Bottini, con l’unico obiettivo di esaltare situazioni, episodi, e stati d’animo, con i quali il protagonista viene in contatto, anche se trattasi soltanto di letture proposte dall’indimenticabile maestro Perboni. La dimensione della narrazione ha un aspetto decisamente educativo, proponendo al lettore dei modelli di vita quotidiana con caratteristiche quasi eroiche e il preciso obiettivo di riconoscere nelle persone comuni i protagonisti delle vite più belle.
Il romanzo è il ritratto meraviglioso di un epoca dove la partecipazione popolare alla vita quotidiana era lo straordinario entusiasmo di essere protagonisti nella nascita di una nuova Nazione, qualunque sia stato il livello sociale, ma sempre con l’umiltà e la voglia di esserci.
Le storie raccontate sono ambientate quasi un secolo e mezzo fà e le diversità con la società odierna mettono ancora più in evidenza lo stato di deriva sociale ed educativa attuale rispetto a quelle proposte dal romanzo. I bambini sono i protagonisti e sono già dei piccoli adulti, attori del loro tempo, navigatori impavidi di quell’oceano di nome “vita”, fatto di piccole soddisfazioni, gioie, semplici giochi, amicizie, ma anche lutti, malattie, sofferenze. La missione educativa affidata agli adulti (insegnanti e genitori) trasmette un senso di rigore e umanità, ormai totalmente perduto nel desolante panorama del buonismo e del politicamente corretto che con le loro assurde contraddizioni stanno sotterrando decenni di modelli educativi esemplari. Non è necessario leggere questo romanzo per riflettere che al giorno d’oggi se un bambino cade dalla bicicletta si prospettano cause civili e addirittura penali per chi ha costruito il giocattolo, chi ha asfaltato la strada, chi gli ha insegnato ad andarci, chi bla bla bla … una bella differenza da modelli quali “Il piccolo scrivano fiorentino” o “Il Tamburino sardo”, per citare solo due degli indimenticabili racconti proposti nel romanzo.
Ritengo che quest’opera sia uno dei più importanti capolavori della letteratura italiana, e soprattutto un indimenticabile ritratto di quel modello educativo che ha permesso all’Italia di nascere e raggiungere il nostro presente attraverso due guerre e diversi decenni di miseria, dettagli che il nostro presente figlio del benessere e di finti miti intellettual-chic pare rinnegare.
Lo consiglio a tutti, per ricordare quello che è stato e riflettere sull’importanza dell’educazione quale valore fondamentale da trasmettere alle generazioni future.
Se fosse una canzone, l’indimenticabile “Gam Gam” di Ennio Morricone.

mercoledì 2 maggio 2012

Harley-Davidson – Cento anni di un mito – Albert Saladini


Il titolo non lascia grande spazio ad interpretazioni circa l’argomento affrontato: la storia della più famosa, sognata, chiacchierata motocicletta del mondo. Il libro ripercorre i cento anni di storia, dal 1903 a 2003, attraverso le tappe che hanno reso unica questa casa di motociclette, raccontando particolari e aneddoti storico-commerciali, ma dilungandosi molto anche sui singoli modelli, con particolare attenzione a tutta la cronologia dei motori prodotti: vero e proprio carattere distintivo.
Si tratta di un lavoro molto approfondito e ben fatto, che affronta dettagliatamente la parte storica e tecnica, ma volutamente tralascia l’aspetto più sociale collegato al fenomeno di costume che l’Harley-Davidson è riuscita a conquistare nel suo secolo di storia.
La storia di questa marca, ovviamente, non finisce nel 2003, e in questo decennio sono state molte le novità, sia tecniche (nuovi motori, modelli e scelte commerciali), che culturali (l’apertura del museo ufficiale a Milwakee), ma questa è un’altra storia e per un appassionato un libro come questo è certamente un testo sacro.
A corredo delle spiegazioni ci sono molte fotografie e disegni, alcuni antichi e molto rari, non facilmente reperibili sulla rete. Ovviamente tanti particolari sarebbero assolutamente noiosi e inutili per chi ritiene una Harley una semplice custom cromata, e una Electra Glide del 2009 uguale ad una FLH del 1978.
Se fosse una canzone “If you want to be a bird” degli Steppenwolf, che a mio giudizio esprime in pieno lo spirito di libertà ed indipendenza, vera e propria bandiera dell’Harley-Davidson.

mercoledì 21 marzo 2012

Italia 1861 – Salvator Gotta

Questo romanzo è stato scritto in occasione del centenario dell’Unità d’Italia, e proposto al pubblico all’interno di una trilogia che comprende anche “Gloria sui campi 1859” e “Camicie Rosse 1860”.
Il tema centrale è il Risorgimento è il trionfo dell’Unità d’Italia celebrato con i racconti, proposti sottoforma di diario del giovane garibaldino Michele Gaudino,
In “Italia 1861” il protagonista è da poco rientrato dalla sua prima esperienza bellica, la spedizione dei Mille, nella casa natia, un ricco podere della piana vercellese, dal quale riparte alla volta di Torino per completare i suoi studi. La scelta del personaggio, un giovane poco più che adolescente, è un’occasione in più per offrire con ancora più entusiasmo la storia, che non è solo il breve romanzo, ma il racconto da un punto di vista molto ravvicinato delle fasi cruciali che hanno portato all’Unità d’Italia.
La narrazione dei fermenti storici e politici è contornata dalle vicende umane del protagonista, ambientate nell’allora capitale Torino e incentrate sulle giornate di studio, l’amicizia con Pablito e i sentimenti per la giovane Concettina.
Molto suggestivi i dialoghi e le descrizioni delle persone, che delineano a pieno le differenze tra la società odierna e quella di allora, fatta di molti formalismi, ma anche di tanto entusiasmo per l’orgoglio di sentirsi italiani.
Mi è piaciuto molto, e ritengo possa essere una lettura istruttiva per tutti: per ricordare il passato, ma soprattutto per riflettere sul presente.
Per quanto mi riguarda, per gli argomenti trattati non potrebbe mai essere una canzone: la storia non è arte, è il nostro passato. Pertanto, per continuare a riflettere, mi piace proporre l’Inno di Italia.

mercoledì 7 marzo 2012

Controsole – Roberto Parodi

Questo è il terzo libro di Roberto Parodi, e il secondo romanzo, che come il primo è scritto intorno al personaggio di Scheggia, vero e proprio alterego dell’autore.
Se “Scheggia” era un romanzo sull’amicizia, “Controsole” ruota intorno al rapporto conflittuale tra un padre e un figlio, ma anche intorno ad un viaggio, che anche questa volta costituisce l’intreccio di tutta la storia.
Il protagonista è sempre Scheggia, che viaggia sulle pieghe della vita sulla sua vecchia Harley-Davidson Road King Evo, armato di chitarra per accordare mille casini in cui è davvero facile riconoscersi. Questa volta c’è anche Roy, il figlio adolescente lontanissimo dal padre, un po’ per la separazione dei genitori e un po’ per l’eterno conflitto tra le generazioni padri/figli. L’intreccio della storia nasce in modo quasi casuale intorno ad un videogioco online con il quale Roy trascorre le giornate, e che lo coinvolgerà in una losca vicenda internazionale per mezzo di una busta proveniente dal Pakistan e piena di contanti.
Padre e figli si troveranno così in viaggio verso il Pakistan, in moto e sempre più uniti per affrontare l’intrigo, viaggiando su strade e in contesti sociali assolutamente diversi da quelli quotidiani.
Anche questa volta il romanzo è l’occasione per l’autore di proporre un viaggio fatto con la sua Harley proprio sulla rotta narrata nel libro: interessante osservare le fotografie scattate durante il tragitto sul suo sito www.threepercenters.it.
Il titolo offre già la direzione del viaggio, controsole appunto, verso est, al contrario dei viaggi della speranza (o della disperazione), sui quali il romanzo propone un grande spunto di riflessione.
La storia è piacevole, allegra, avventurosa, e i protagonisti con lo scorrere delle pagine, assumono connotati quasi eroici, attraversando situazioni surreali e divertenti, ma offrendo anche la possibilità di riflettere sulle condizioni di vita diversissime dalle nostre in luoghi nemmeno così lontani.
Consiglio la lettura a tutti per semplicità, facilità, e argomenti trattati.
Se fosse una canzone, “I walk the line” di Johnny Cash.

giovedì 16 febbraio 2012

L’assedio. Torino 1706 – Fabio Galvano

Il titolo non lascia spazio ad interpretazioni. Con questo saggio Galvano offre al lettore una ricostruzione minuziosa e capillare dello storico assedio operato dai francesi alla città di Torino nel 1706.
Si spiegano accuratamente gli antefatti e le cause, inquadrando l’avvenimento nel panorama politico-militare di quegli anni, illustrando tutti i movimenti di truppe che precedettero l’assedio, offrendo interessanti dettagli sulle strategie militari dell’epoca.
Si affrontano poi tutte le caratteristiche architettoniche e funzionali della città, con spiegazioni su particolari, storia e personaggi che hanno contribuito alla realizzazione della complessa struttura difensiva.
E poi, naturalmente, l’assedio: la guerra vista e vissuta sulla base delle cronache del tempo, con dettagli tanto angoscianti quanto impressionanti sulla vita civile al’interno delle mura, l’organizzazione delle scorte, i feriti, i morti, ecc…
Molto interessante anche la presentazione di Pietro “Passepartout” Micca, soldato-eroe che con il proprio sacrificio impedisce l’ingresso dei francesi da una galleria facendola saltare con la dinamite. Vengono affrontate quindi, con grande attenzione, le collocazioni e le caratteristiche delle gallerie presenti sotto la struttura difensiva, interessanti dettagli da integrare a quanto è possibile vedere nel Museo Pietro Micca, o con l’escursione guidata Torinosotterranea.
Particolarmente interessanti si rivelano inoltre le stampe e i disegni di cui l’opera è corredata, offrendo al lettore una comprensione visiva ad integrazione delle spiegazioni dell’autore.
La storia consegna la vittoria ai piemontesi, e vengono illustrate le fasi operative della sconfitta francese, avvenuta nella parte più orientale della città.
E’, indubbiamente, un’opera tanto interessante quanto impegnativa, ma assolutamente indispensabile per il valore storico con il quale propone  al lettore una fotografia quanto più realistica di questo episodio.
Mi è piaciuto molto e ritengo sia una lettura indispensabile per ogni torinese!!
Se fosse una canzone, l'indimenticabile "Ta-Pum".

mercoledì 1 febbraio 2012

La penna del najone – Associazione Nazionale Alpini

Il titolo di quest’opera, per molte persone, non lascia spazio ad interpretazioni: il najone è il soldato di leva, e la “penna” l’inconfondibile distinzione del cappello di un Alpino.
L’ANA propone una raccolta di racconti autografi che esaltano lo spirito di questo corpo, ormai mitico, e assolutamente insostituibile, che negli anni ha conquistato, medaglie, gloria, ma anche simpatia e popolarità.
I racconti sottolineano con brillante trasparenza la varietà di persone che sono passate attraverso questo corpo, evidenziando differenze di cultura, dialetto, carattere, ma confermando per tutti lo stesso entusiasmo di esserci. Quella stessa emozione che durante la ferma faceva urlare a tutti <<… puttana la naja>>, rimpiangendo la vita “civile” durante le interminabili giornate della caserma fatta spesso di situazioni assurde, banali, drammatiche, ma anche divertenti e comunque sempre indimenticabili, in un’altalena di ricordi, belli brutti, nostalgia, e rimpianti.
Da questo dettaglio nasce la volontà di far parlare i protagonisti, dando voce ad un’opera unica e assolutamente emblematica, cronaca di un’epoca ormai trascorsa, ma forse proprio per questo estremamente preziosa.
L’ANA, lanciata la proposta attraverso le singole sezioni, viene letteralmente travolta dai racconti, segno di un entusiasmo tutt’altro che sopito, a conferma dei grandi consensi di partecipazione che riscuote ogni anno la famosa Adunata: un grande raduno di veterani Alpini, che cambiando destinazione ogni anno si ritrovano in una città per festeggiare se stessi, ma anche farsi ammirare con un pizzico di invidia da chi avrebbe voluto farne parte, ma per un’infame scherzo del destino ne è rimasto escluso.
I racconti vengono proposti raccolti in gruppi tematici: la partenza, le punizioni, i muli, ma anche la guerra e la morte… e non ultimo, il congedo.
L’osservazione più immediata è quella che chiunque vi si possa riconoscere, anche qualora luoghi e date fossero lontanissimi dal proprio servizio di leva. Non è necessario essere stati Alpini per capire il significato di un servizio di guardia, di piantone, o il valore di una licenza, senza dimenticare gli indissolubili legami di amicizia che la vita di caserma è stata in grado di generare tra chi ci è passato.
Sentimenti di  amicizia, o soltanto l’occasione di parlare del passato, lasciano nel lettore un profondo senso di nostalgia, o forse si tratta solo di un’impressione, particolarmente viva solo tra coloro che il servizio di leva lo hanno fatto.
Da brivido, vedere riproposta la mitica “Canzone del Soldato”:

Cara burbetta dimmi una cosa
cosa facevi tre mesi fa
andavi a spasso con la morosa
e non pensavi a fare il soldà.
Fare il soldato di fantaria
o mamma mia male si sta
male si sta per tanti motivi
buoni o cattivi da sopportar.
Muli cattivi, zaini pesanti,
sempre piu' avanti bisogna andar
sempre piu' avanti, sempre in colonna
porca xx(bestemmione!)xx la finirà.
La finirà sta naia schifosa
dalla morosa voglio tornar
dalla morosa o dall'amante
sotto le piante a fare l'amor.

La lettura è velocissima, e ogni racconto ha qualcosa di unico, offrendo al lettore un libro lunghissimo, ma mai noioso, intriso di quell’entusiasmo che solo a vent’anni si riesce ad avere. Consiglio la lettura a tutti, perché sono certo che ognuno saprà restituire a questi racconti il valore grandissimo che meritano, riconoscendosi in tantissimi episodi, o magari semplicemente scoprendo con entusiasmo un autentico pezzo di storia di Italia.

Ripropongo due passi, uno un po’ poetico, l’altro un po’ rude, ma entrambi in grado di esprimere in pieno alcuni dei tanti aspetti della naja. Parole che potranno comunicare poco o nulla a chi non ha prestato il servizio di leva, a chi non si è mai svegliato all’alba con la tromba, a chi non ha fatto alzabandiera, a chi non ha atteso una licenza, a chi non ha detto anche solo una volta <<PUTTANA LA NAJA!!>>, ma soprattutto a chi non ha mai atteso dodici mesi per urlare “FINITA’”, e poi conservare per tutta la vita un inconsolabile senso di nostalgia.

Un po’ lo rimpiango quel freddo barbino, quello zaino e quello schioppo da portare a spasso per i monti, i miei monti, quell’odore di muffa antica, quella caserma piena di storia scritta da gente umile. Ma che dico un po’. Poche cose valgono più di quei momenti. Il primo sorriso mattutino di mia moglie, gli occhietti assonnati delle mie bimbe.
Luca Spaggiari

Domanda abbastanza ovvia per un militare di prima leva: <<Come facciamo a lavare la gamella sporca e unta con acqua sempre fredda che esce dai tubi esterni?>>.
Risposta: <<Arrangiati!>>.
Lorenzo Franco

E’ un libro sugli alpini, ma soprattutto un libro sulla naja, e proprio per questo se fosse una canzone vorrei che sia “Il silenzio dei congedanti” di Nini Rosso, che ha fatto sospirare ogni soldato per 11 volte, ascoltando il brano in occasione degli scaglioni congedanti, e fatto commuovere in quell’ultima sera prima del congedo.


PS.
Le foto proposte le ho scattate personalmente durante la 84° Adunata Nazionale degli Alpini, svoltasi a Torino dal 6 al 8 maggio 2011.

lunedì 23 gennaio 2012

L’uomo che restò solo sulla terra – George Gaylord Simpson


Questo romanzo è una piccola opera d’arte. George Gaylord Simpson, scomparso nel 1984, è stato un famoso paleontologo americano, nonché docente universitario, che tra le sue varie pubblicazioni ha trattato prevalentemente il tema dell’evoluzione oltre ad approfondite analisi sulla specie equina.
Questo romanzo è la sua unica esperienza narrativa, e propone con originalità stupefacente la storia fantastica di uno studioso che in un remoto futuro, lavorando alla macchina del tempo, si ritrova catapultato nel passato, in pieno Mesozoico., in mezzo ai dinosauri. La storia è il ritrovamento, ai giorni nostri, di alcune tavole di argilla che lo sventurato scienziato ha avuto cura di nascondere, con l’obiettivo di restituire la sua esperienza alla collettività.
L’argomento è originale, e la storia un’occasione per offrire al lettore una finestra su un mondo così diverso da quello attuale, lontano dagli stereotipi cinematografici di Jurassik Park, ma comunque spettacolare ed entusiasmante.
Nella lettura non ci si annoia mai, il ritmo è veloce ed incalzante, e sono parecchie le riflessioni intorno alla solitudine e alla natura sociale dell’uomo.
Mi è piaciuto molto e lo consiglio a tutti: facile, emozionante e soprattutto un punto di vista diverso per conoscere particolari scientifici da una fonte comunque autorevole.
Se fosse una canzone, l’immortale “Who wants to live for ever” dei Queen.

lunedì 9 gennaio 2012

Ho visto gli animali piangere – Giancarlo Ferron


“Faccio il guardiacaccia da tanti anni e mi sento nemico naturale dei bracconieri. Ho distrutto tanti scarponi, sono passato attraverso temporali, ho dormito sotto le stelle, e ho camminato nella neve. Ho visto animali nascere, vivere e morire. Tanti troppi, li ho visti soffrire per colpa dell’uomo. Ho scritto quello che ho visto e sentito.”
La presentazione che l’autore propone per questa raccolta di racconti è davvero splendida: racchiude in poche parole l’essenza e lo spirito della sua professione, offrendo al lettore dei fotogrammi di una vita diversa, carica di fascino e a mio giudizio assolutamente indispensabile.
I racconti che compongono quest’opera sono suddivisi secondo tre aree tematiche: l’uomo, gli animali, la natura, che inevitabilmente interagiscono sempre, ma offrono protagonisti diversi. Le storie sono belle, di una semplicità disarmante, e spesso anche molto commoventi. I cattivi sono sempre gli stessi e le vittime anche, ma nonostante questo però non riesco a definirlo un libro triste: l’autore è un guardiacaccia e con il suo lavoro, la sua passione e il profondo amore per la natura, anima un confronto deciso, dove l’importante è non arrendersi a coloro che vogliono assoggettare la natura ad un bene di consumo.
Bellissimo il racconto “Bepo dei boschi”!
Mi è piaciuto moltissimo e consiglio la lettura di questo libro a tutti, soprattutto a chi vive in città e ha poche occasioni per comprendere il significato della natura, anzi della Natura; aiuta a riflettere e trasmette fiducia verso chi si impegna nella difesa di un valore così importante.
Se fosse una canzone, “The Bard’s song – In the forest” dei Blind Guardian (il link che ho messo è della indimenticabile versione acustica).

lunedì 2 gennaio 2012

I miei ricordi nella Legione Straniera - Elio Della Casa

Questo romanzo è qualcosa di diverso dalla solita autobiografia sull’esperienza all’interno del famoso, e discusso, corpo d’elìte dell’Esercito Francese. L’autore, che dice molto poco di se stesso, propone la sua storia come un’amara accusa rivolta alla Francia per tutte le illusioni che nel tempo questa ha trasformato in dolorose condanne da scontare.
L’autore con questo romanzo propone i ricordi della propria vita segnata da emarginazione e difficoltà fin dall’infanzia, in un’Italia troppo impegnata a risollevarsi dalla guerra per prestare attenzione a situazioni di totale deriva sociale. Senza riferimenti adeguati, l’autore-protagonista finisce così per arrivare in Francia in cerca di fortuna, e subito intercettato dalla gendarmeria riceve la proposta di un arruolamento di cinque anni nella Legione Straniera, con in cambio la promessa di grandi opportunità di lavoro e riconoscenza da parte di quella che sarebbe diventata la sua nuova patria. Entusiasmo, incoscienza, e soprattutto necessità portano l’autore ad accettare l’offerta, che lo vedrà protagonista attivo in teatri di guerra, proprio mentre l’Italia con fatica si stava risollevando dal disastro bellico.
E. Della Casa a Kef El Amar 07.01.59
La guerra è sempre la stessa, e anche se cambiano i colori degli eserciti e gli scenari delle battaglie, l’orrore di questi racconti aggiunge soltanto altro sgomento di fronte ad un’assurdità talmente grande.
La storia prosegue anche oltre l’esperienza fatta con la Legione Straniera in Algeria, dapprima in Africa e poi a Parigi, terminando con la violenza inaudita di una condanna inflitta solo per aver cercato di inserirsi per anni in una società che dapprima aveva regalato promesse e alla fine restituito soltanto emarginazione e indigenza.
La lettura non è mai noiosa, anche se alcuni punti ha un ritmo decisamente più lento e spesso risulta evidente che l’opera non sia il prodotto commerciale di uno scrittore professionista, quanto piuttosto il duro racconto animato da rabbia e risentimento di un ex-soldato. E’ comunque un romanzo molto incisivo e duro.
Se fosse musica, “Le Boudin”, uno dei canti della Legione Straniera… penso che non ci potrebbe essere nulla di più rappresentativo!!!