Nei racconti degli anziani, avevo sentito parlare di un uomo
che uccideva ragazzine per farne salami, ma credevo che fosse una delle tante
leggende popolari, costruite per spaventare i più piccoli e divertire i più
grandi.
Ricordo il caro amico Roberto, scomparso due anni fa,
raccontarmi di un paese del basso Canavese dove c’era un uomo che mangiava le
persone, di non sapere altro ma di assicurarmi che la storia non fosse una
favola, che già nella sua infanzia, trascorsa a Torre Canavese (To), circolasse
questo racconto.
Questo libro è un’analisi diretta e minuziosa di questo
episodio di cronaca nera. La proposta documentale è offerta intorno alla tante
leggende costruite dalle persone, che gli autori non smentiscono con arroganza,
ma proponendo documenti storici ufficiali e stralci di giornali dell’epoca,
fanno sfumare con la documentazione storica dei fatti.
Viene ricostruita la storia di Giorgio Orsolano, nato nel 1803 a San Giorgio Canavese
(To), macellaio del paese, in gioventù condannato per molestie e diventato
tristemente noto per aver rapito e ucciso tre ragazzine, i cui corpi dopo
essere stati tagliati a pezzi furono dispersi lungo un torrente. L’analisi
degli atti del tribunale e dei giornali dell’epoca non fa emergere nulla circa
l’ormai famosa leggenda dei salami fatti con carne umana e venduti dal
macellaio.
La realtà parla di due sparizioni sospette e facilmente riconducibili
ad Orsolano e il rapimento, lo stupro, l’omicidio e l’occultamento del corpo
smembrato di Francesca Tonso, di anni quattordici. La condanna di colpevolezza
vedrà Orsolano riconosciuto responsabile di tutti e tre i delitti e condannato
a morte per impiccagione proprio del luogo dove commise i suoi reati. La
sentenza venne eseguita pochi giorni dopo l’omicidio dell’ultima ragazzina,
reato che il macellaio confessò.
Ritengo che questa pubblicazione sia una lettura molto
interessante, non tanto per i fatti di cronaca narrati quanto per far
riflettere il lettore sulla collocazione temporale del male quale espressione
peggiore della natura umana: non è vero che una volta i fatti efferati di
cronaca che riempiono i quotidiani non succedevano. Il Male è sempre esistito,
fa parte della natura dell’uomo esserne preda, vittima e anche artefice.
Ripropongo un passo tratto da un articolo di Don Giuseppe
Ponchia, storico e sacerdote di Montanaro C.se, riportato nel libro:
Riferisco questa fosca pagina di storia canavesana anche per
dire ai “laudatores temporis acti” che il mondo è sempre stato uguale: un misto
di bene e di male, di bontà e di ferocia, e che i tempi passati non furono né
migliori né peggiori dei tempi nostri.
Una riflessione interessante è inoltre l’osservazione del
clamore, generato all’epoca da questo episodio, che per l’esecuzione delle
sentenza vede accorrere al piccolo paese di campagna più di diecimila persone
che i racconti di allora ricordano come una catastrofe per i terreni circostanti
e per l’impossibilità di trovare un carretto a noleggio nella città di Torino:
tutti volevano assistere all’impiccagione. Il trattato illuminista di Cesare
Beccaria (1738-1794) sulla pena di morte non era ancora un modello rieducativo
e il principio di redimere un condannato era ancora ben lontano dall’essere
radicato nei principi di una costituzione. E’ vero, una condanna a morte non
riporta in vita le vittime, non è un deterrente per reati analoghi, e non
costituisce una garanzia di non reiterazione del reato più di quanto potrebbe
fare una detenzione efficace, ma sicuramente dona equilibrio a quelle coscienze
che sono rimaste sconvolte dalla brutalità di episodi analoghi a questi, e a
coloro che sono riusciti a riconoscersi prede pur non essendo vittime.
I nostri quotidiani sono pieni di episodi di cronaca nera
che dopo il clamore iniziale, fomentato dalla ricerca di particolari più
scandalosi possibile, terminano tutti, immancabilmente, con la delusione per
una sentenza giudicata troppo lieve e iniqua rispetto a quella subita dalla
vittima per mano del suo carnefice.
Oggi è cambiata la prospettiva, ma il Male esiste sempre, e
un punto di vista più buonista non è una maggiore garanzia per una società
migliore e nemmeno l’equilibrio della coscienza; quantomeno fino a quando le
vittime continuano ad essere “gli altri”.
Se fosse una canzone “I walk the line” di Johnny “Man in
Black” Cash..
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