martedì 2 aprile 2013

Vita e morte del brigante Berardino Viola (1838-1906) – Fulvio D’Amore


Probabilmente il nome Berardino Viola non dice nulla: è passato più di un secolo dalla sua morte e i media contemporanei non hanno mai preso a cuore la sua storia. E’ sufficiente recarsi nei luoghi dove è vissuto per rendersi conto che dopo più di cento anni, nel Cicolano, non è affatto stato dimenticato, consacrato tutt’oggi come un personaggio storico.
Questo saggio di approfondimento è molto di più di una semplice biografia e offre al lettore una panoramica storico-politica molto approfondita sugli equilibri sociali dell’Abruzzo post-unitario. Un celebre detto risorgimentale affermava che “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”, e proprio sulle origini di questo concetto prende forma il panorama sociale nel quale nasce il protagonista.
La povertà, lo sfruttamento del bisogno di sopravvivenza, il concentramento dei capitali nella mani di pochi proprietari terrieri, ma soprattutto un carattere ribelle e indomito, fanno del protagonista un personaggio controcorrente, fiero oppositore delle regole e spregiudicato predatore.
Il panorama politico, che vede l’avvicendamento della dominazione Borbonica a quella dei Savoia, è soltanto un pretesto in più per opporsi con contrabbando, rapine, estorsioni e sequestri ad un sistema che avrebbe visto comunque i contadini costretti ad una vita di privazioni, sofferenze e sacrifici, in un’esistenza analoga ad una pena da espiare. La Marsica e il Cicolano, aree impervie per loro natura, si rivelano un ottimo scenario per sottrarsi alla cattura e per approfittare di continue sollevazioni popolari contro i nuovi padroni, spesso represse nel sangue e quindi ottime motivazioni nella quali torvare copertura e seguaci. Berardino Viola parteciperà come sostenitore di Francesco II a numerosi tumulti di piazza contro le truppe garibaldine, più per confondere nel trambusto le proprie scorribande che per convinta ideologia politica.
D’Amore evidenzia con grande dovizia di particolari storici, tratti da documenti giudiziari e atti dei Carabinieri, l’evolversi degli eventi riguardanti la vita del protagonista e di tanti altri banditi che lo hanno affiancato nelle sue scorribande: la famosa banda del Cartore.Si illustrano la grande abilità di approfittare del disequilibrio politico con continui spostamenti, anche in terre vaticane, e la capacità di giocare il ruolo del perseguitato politico piuttosto che quello del bandito: argomentazione che gli permetterà dopo l’arresto di essere estradato in Spagna e da qui fare ritorno nelle terre natie. La storia del protagonista prosegue come una continua caccia, alternando il ruolo di predatore verso i ricchi “milionisti” con quello di preda verso i Carabinieri: l’espressione della nuova autorità nazionale. Non saranno sufficienti anni vent’anni di carcere ai lavori forzati e la condanna all’ergastolo a placare il suo animo e nel luglio del 1900, braccato per aver ucciso un giovane muratore che lo aveva insultato, dopo un cruento scontro a fuoco, venne arrestato e tradotto nel carcere di Ponza dove morirà nel 1906 all’età di sessantotto anni.
La storia di Berardino Viola, un vero bandito, è anche l’occasione per mettere in luce le grandi contraddizioni che l’Unità d’Italia, ricordata e celebrata come un moto di unificazione risorgimentale, fosse anche una campagna di conquista, che raggiunto il successo ha celebrato i vincitori come eroi e gli sconfitti come briganti oppositori, principio secondo il quale se la vittoria fosse stata degli sconfitti la storia li avrebbe celebrati come partigiani. In quelle zone, con poche strade e tanti boschi, non ha vinto nessuno, la democrazia non esisteva ancora e l’uso della forza unito all’ignoranza erano gli strumenti migliori per il controllo del territorio.
La storia di questo fuorilegge è un’ottima occasione per conoscere alcuni dettagli dell’Unità d’Italia, molto meno noti, e soprattutto fotografati dal lato di chi l’ha subita come un’imposizione. Il Regno di Napoli, modello di equilibrio agricolo e industriale non diverso da quello del Piemonte, dopo l’unificazione diventa il “Mezzogiorno”, ormai sinonimo di povertà, arretratezza e malavita. Fin troppo facile riconoscere in questo passaggio gli attuali scenari economici e politici europei, protagonisti di uno sviluppo a due velocità: da una parte gli utili e la crescita e dall’altra la crisi, fatta di recessione, disoccupazione e pessimismo.
Si tratta di una lettura indubbiamente impegnativa, ma proprio perché in grado di stuzzicare riflessioni attualissime, mi sento di raccomandarla a tutti, perchè le difficoltà generali del periodo storico che stiamo vivendo, siano un’occasione per fare tesoro del nostro passato.
Se fosse una canzone, “Adelante Adelante” di Francesco De Gregori.

2 commenti:

  1. Ringrazio chi ha scritto questa recensione, perché da essa si capisce che ha letto attentamente il mio libro, traendone le giuste considerazioni.
    Fulvio D'Amore (ricercatore e saggista)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono onorato di ricevere un così bel apprezzamento proprio da Lei. Anche se ad essere sincero sono io che ringrazio lei per l'immenso valore che la sua pubblicazione ha donato alla collettività. Ah... dimenticavo... benvenuto sul mio blog!!!! ;-)

      Elimina