martedì 16 dicembre 2014

Mal’aria – Eraldo Baldini



Eraldo Baldini con questo romanzo regala un altro ritratto della società rurale emiliana, e come di consueto utilizza una storia noir che riesce anche a mettere i brividi, pur non essendo all’altezza di altri suoi lavori che ho letto in passato (Eraldo Baldini).
E’ la storia di Carlo Rambelli, giovane ispettore sanitario della Roma fascista, inviato nelle campagne emiliane per approfondire la situazione circa degli strani rapporti sanitari sulle morti infantili causate dalla malaria. Protagonista assoluto dello scenario, nonché del romanzo è proprio la nebbia che con le sue tinte gelide confonde gli occhi del protagonista e trasmette al lettore un infinito senso di angoscia. A complicare ulteriormente la situazione si aggiunge una fin troppo evidente omertà dei residenti del piccolo paese, un estremo baluardo della civiltà verso l’ignoto: nel paese non c’è nulla e nemmeno il telefono dell’ufficio postale funziona più. Silenzio e nebbia.
L’indagine conduce il protagonista a confrontarsi con miti e credenze popolari, che vogliono come principale causa di tante morti, La Borda, una creatura malvagia che si nasconde nella nebbia, pronta e affamata a ghermire i poveri malcapitati di turno. In un crescendo di tensione, paura e nebbia il protagonista si avvicina sempre di più alla verità, scontrandosi con una realtà ben più spaventosa del solito mostro della palude.
Anche questa volta il romanzo è molto breve, e come sempre estremamente veloce ed incalzante, capace di rapire letteralmente il lettore, per calarlo nella dimensione della narrazione. In certi momenti si ha quasi la sensazione di trovarsi in quei luoghi, respirando l’angoscia e il senso di claustrofobia che tutta l’atmosfera della storia trasmette.
Mi è piaciuto molto, nonostante lo ritenga il meno appassionante di tutti gli altri romanzi di Baldini che ho letto.
Se fosse una canzone “Make it rain” di Ed Sheeran.

martedì 9 dicembre 2014

Harley-Davidson Evoluzione di un mito – Albert Saladini



Il tema dell’intramontabile mito americano per eccellenza è nuovamente il centro di quest’altro lavoro di Albert Saladini. Rispetto al precedente (Harley Davidson – Cento anni di un mito) si offre al lettore una panoramica fotografica e nozionistica sul tema delle modifiche, spesso sostanziali, che contraddistinguono e rendono unica ogni moto. E’ risaputo infatti quanto ogni possessore ami personalizzare la propria motocicletta, seguendo stili e mode che come per l’abbigliamento seguono le influenze di grandi stilisti. Nel libro vengono presentati in modo molto approfonditi grandi bike-designer come Arlen Ness o Cyril Huze.

La pubblicazione risale ai primi anni duemila, e quando era uscita appariva già vecchia in quanto come è facile supporre le mode cambiano, si inseguono, in una dimensione di continua evoluzione. E’ curioso osservare le foto di moto dove regnano protagoniste indiscusse le cromature, alle quali si aggiungevano aerografie degne di un quadro impressionista, o imponenti sovrastrutture di vetroresina che tanto andavano di moda negli anni ’90.

Non si parla di full-dressed, di swedish chopper, di bobber, di digger, di drag-bike, di muscle-bike, di japan-style e sfogliando le pagine di questo libro non esistono accenni alla travolgente tendenza vintage, che a vent’anni di distanza avrebbe condizionato non solo le moto, ma anche l’abbigliamento. Questa però è un’altra storia…

Il libro è certamente interessante, curioso e indispensabile sullo scaffale di ogni appassionato: che piacciano o meno queste motociclette hanno fatto la storia, e sono certo che un giorno qualcuno scoprendo l’acqua calda, le tirerà fuori da un fienile polveroso, facendo scoprire a chi le guarda quando siano “cool”!!

Se fosse una canzone “Everybody Hurts” dei R.E.M.

venerdì 24 ottobre 2014

La perla – John Steinbeck



Questo libro è una proposta per riflettere sul senso dell’esistenza, e come tutte le opere di Steinbeck riesce a colpire in profondità l’animo di ogni lettore.
Questo romanzo, una vera e propria fiaba, racconta la vita di Kiko, pescatore di un piccolo paese della costa messicana, che affronta la vita con umiltà e sacrifici, scontrandosi con i limiti di una gerarchia sociale troppo spietata con i più poveri. La vita del povero pescatore viene sconvolta dalla puntura di uno scorpione, che inesorabile, colpisce il figlio di pochi anni: il piccolo Cojotito. Appare inutile affidarsi alle cure del medico del paese, troppo attento alla parcella più che alla missione sociale del proprio ruolo, e purtroppo la medicina popolare non è in grado di scongiurare gli effetti fin troppo scontati della puntura.
Il destino però si affaccia alla sorte della giovane famiglia: Kiko riesce a trovare un’ostrica con all’interno una perla enorme, sproporzionata, bellissima e soprattutto unica. Questo evento rappresenta il vero disequilibrio nella vita del protagonista e della propria moglie, riconoscendo nelle prospettive di ricchezza il realizzarsi di un sogno incredibilmente reale, ma riscontrando di fatto più una maledizione che la tanto attesa fortuna. La voce si sparge in fretta, ma le attenzioni di curiosi, sciacalli e ladri pronti a tutto sono molto più solerti di una cura per il piccolo. La famiglia è presto sola, braccata e inseguita da mostri quali avidità, invidia, cupidigia e durante la caccia nessun luogo rimane sicuro, nascondendo ovunque predatori affamati e senza scrupoli.
Difendersi è impossibile, la vera maledizione non è sentirsi preda in una battuta di caccia dall’esito scontato, ma l’istinto predatore messo in moto dalla perla.
La perla non è più quindi sinonimo di ricchezza, ma solo il miraggio di questa, costituendo di fatto una iattura che spalanca di fronte ai protagonisti un baratro ancora più profondo e spaventoso della già grave situazione nella quale si trova il bimbo. La pace con se stessi, quel magico equilibrio nel quale ognuno è padrone delle proprie scelte, con la consapevolezza dei propri limiti di fronte alle scelte del Destino, viene di colpo cancellata lasciando davanti agli sventurati protagonisti soltanto un foglio bianco senza nemmeno una matita per scrivere.
Non voglio anticipare la fine della storia, ma chi conosce Steinbeck può facilmente intuire come sicuramente non finirà.
Ripropongo un passo che ho trovato particolarmente significativo:

Poiché sta scritto che gli uomini non sono mai sazi, che se date loro qualcosa essi vogliono di più. E questo lo si dice per disprezzo, mentre è una delle più belle doti della specie, quella che ha reso superiore l’uomo agli animali, che si accontentano di quel che hanno.

Si tratta di una lettura breve, velocissima con un ritmo incalzante e appassionato. Facile anche questa volta immedesimarsi nei protagonisti, condividere con loro angosce e paure, e riflettere sul senso dell’esistenza di ognuno di noi, sull’eterna lotta tra il bene e il male.
La copia che ho letto era una vecchia edizione del 1976 con l’introduzione curata da Oreste Del Buono: molto profonda, accurata e sicuramente consapevole del grande spessore letterario dell’autore.
Inutile dire che mi è piaciuto tantissimo, Steinbeck è il mio scrittore preferito, e non posso che consigliarlo a tutti: una lettura profonda, efficace, di quelle che lasciano il segno.

Se fosse una canzone, “Angel of mercy” dei Black Label Society.

mercoledì 30 luglio 2014

Tre uomini in barca – Jerome K. Jerome



Questo romanzo è un classico della narrativa per adolescenti. Rappresentando un esempio del tipico humor inglese racconta la storia tragicomica di tre amici in gita in barca sul Tamigi.
La premessa sembra buona, purtroppo però durante la lettura si percepisce la notevole distanza con la società inglese della seconda metà del ‘800 (periodo sia di ambientazione della storia e sia di vita dello scrittore): molte situazioni e dialoghi appaiono comici soltanto in quel determinato contesto, in quanto oggi, con i cambiamenti che la società ha subito in circa un secolo e mezzo, possono apparire patetici o quasi. La dimensione che il romanzo assume con lo scorrere delle pagine prende connotati grotteschi, quasi ai limiti della credibilità, pur di enfatizzare situazioni comiche, di dubbia credibilità.
Non posso che ammettere di non averlo apprezzato. La narrazione, se pur non lentissima, non riesce mai a diventare avvincente, forse per le troppe digressioni sulle quali il protagonista si dilunga al fine di spiegare episodi banali e spesso irrilevanti ai fini del racconto.
Non fa ridere, non diverte, non distrae, non trasmette quel senso di partecipazione che dovrebbe accompagnare il lettore per tutta la storia: che cos’altro aggiungere… se volete leggerlo leggetelo pure, ma poi non dite che ve lo avevo consigliato io.
Se fosse una canzone, l’incompresa “La canzone del capitano” di DJ Francesco.

lunedì 28 luglio 2014

Il lavoro manuale come medicina dell’anima – Matthew Crawford



La copertina di questo libro e la sua presentazione possono facilmente confondere il lettore con delle aspettative che la lettura finirà per deludere. Il libro è infatti un piccolo trattato di filosofia, molto ben fatto e accurato, che purtroppo per i neofiti della materia può apparire noioso e contorto. L’autore infatti propone la propria esperienza autobiografica intorno al concetto di lavoro manuale, offrendo approfondimenti filosofici e didascalici con riscontri pratici sulla società, sia contemporanea e sia pregressa. Il ritratto che ne emerge è la consapevolezza di come le comodità siano un particolare anestetico per il cervello, che viene privato di creatività e manualità, atrofizzando l’uomo in un consumatore perpetuo del perverso meccanismo “usa e getta”. L’autore racconta della propria esperienza maturate sui motori, prima del suo glorioso Maggiolino Volskwagen e poi delle motociclette d’epoca, offrendo con consapevolezza ed entusiasmo tutta la soddisfazione di possedere una conoscenza che lo renda libero di dipendere sempre da se stesso e non da strategie di marketing.

La lettura è un po’ lenta e anche se l’argomento trattato tutto sommato è semplice, gli approfondimenti filosofici si rivelano comunque impegnativi.

In ogni caso l’ho trovato interessante, riconoscendo in questo lavoro un bello spunto di riflessione sulla capacità che ognuno di noi dovrebbe riscoprire mettendosi in discussione: “sporcandosi le mani” e ritrovando la soddisfazione di sentirsi padroni di ciò che si possiede soltanto dopo essere stati in grado di aggiustare o quantomeno provare a comprendere cosa si nasconde “sotto il cofano” di quanto ci circonda.

Non si tratta di un libro da ombrellone, pertanto ne raccomando la lettura con la necessaria tranquillità per poterne apprezzare a fondo valore e significato.

Se fosse una canzone la bellissima "Old man" di Neil Young.

mercoledì 23 luglio 2014

Il fratello che non sapevo di avere – Reynhold Messner



Questo libro del grande Reynhold Messner è un tributo umano, sportivo e storico all’ancora più grande Walter Bonatti. I due “mostri sacri” dell’alpinismo, oltre a scrivere la pagine più importanti di questa meravigliosa e affascinante disciplina, nel corso delle loro vite non hanno mai avuto modo di confrontarsi direttamente, anche per via della generazione di appartenenza diversa, accontentandosi delle prospettive che la stampa offriva di loro, creando rivalità e dissapori che nella realtà non sono mai esistiti. Walter oggi non c’è più, ma la vita ha comunque offerto un’occasione ai due per chiarirsi e confrontarsi, portando luce su troppe ombre che perseguitavano Bonatti da quella terribile notte sul K2. Ok, questa  è un’altra storia, ma in questo libro è uno dei cardini fondamentali, in quanto la vita di Bonatti è stata irrimediabilmente segnata da quell’episodio.
E’ curioso veder un eroe celebrarne un altro, una dimostrazione di sportività e di rispetto di altri tempi a cui non siamo abituati, e che offre al lettore un’occasione in più per amare questi atleti che sono anche avventurieri, esplorarori, pazzi e sognatori, che con le loro imprese hanno impresso i loro nomi nella storia.
Il libro è fatto molto bene, alternando racconti storici con riflessioni attuali, e offrendo, anche al lettore che non conosce il valore sportivo di entrambi, una meravigliosa presentazione, nonché un’avvincente e appassionata storia.
Mi è piaciuto tantissimo, ma forse è un giudizio troppo di parte, visto che già prima di cominciarlo ho sempre annoverato i due alpinisti tra i miei supereroi preferiti.
Lo consiglio a tutti, anche a chi non ha mai letto nulla del genere e guarderà le montagne all’orizzonte da sotto un ombrellone in spiaggia: si parla di eroismo, amicizia, coraggio, fatica, paura e umiltà, tutti valori che purtroppo non vanno più di moda.
Se fosse una canzone, la struggente e stupenda “Hurt” di Johnny “Man in Black” Cash.

venerdì 20 giugno 2014

Le strade dei cannoni – Marco Boglione



Questo libro può essere considerato l’anello di congiunzione tra un saggio e una guida turistica. Il tema trattato, quello delle vecchie strade militari del nord-ovest, è proposto con l’approfondimento e la dovizia di particolari tecnici e storici tipici di uno studio sulla materia, al quale però le cartine e i particolari sulla conservazione attuale di tali manufatti costituiscono un invito più che esplicito alla visita diretta. Che si tratti di una passeggiata a piedi, di un giro in auto o in mountain-bike, nel libro sono proposti trentacinque itinerari sparsi su diciassette valli comprese tra Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta, che oltre a stralci di cartine e fotografie, offrono tutti i riferimenti per appoggiarsi ad una cartografia di maggior dettaglio, accompagnando il lettore/turista in un approfondimento oltre che geografico, anche storico e militare.
Strada militare dell'Assietta -
Le spiegazioni sono fatte molto bene, e anche se ci sono numerose fotografie, per comprendere a fondo il contesto geografico che in determinati periodi storici ha motivato la costruzione di queste strade, è fondamentale recarsi personalmente in quei posti, e constatare direttamente la grandiosità di questi manufatti e delle difficoltà incontrate per la loro realizzazione in luoghi così impervi, ma anche incredibilmente suggestivi.
Io, il mio cancello, il Gran Serin
Ho fatto personalmente alcune di queste escursioni (ho inserito uno scorcio della strada militare dell'Assietta, fotografato personalmente nel settembre 2010) e posso garantire l’assoluta qualità di questa pubblicazione, un’interessante proposta per chi vuole scoprire un aspetto della montagna meno noto, ma anche un testo fondamentale per chi conoscendo quei luoghi vuole collegare il presente con il passato.
Se fosse una canzone “Against the wind” di Bob Seger.

giovedì 22 maggio 2014

Piemonte contadino – Storie, tradizioni, stagioni del mondo rurale - Gian Vittorio Avondo



Si tratta di un saggio sulla recente storia del mondo rurale piemontese, corredato di approfondimenti tecnici, etnografici, e anche numerose fotografie.
L’autore offre una panoramica sulla dimensione rurale, sia questa montana o di pianura, approfondendo tradizioni e culture locali, intorno agli aspetti della vita quotidiana: infanzia, lavoro, fede, istruzione, ecc…
I lettore riceve una spiegazione articolata e avvincente, che appassiona con riferimenti tutt’altro che astratti, facendo riconoscere in moltissime occasioni luoghi noti o addirittura familiari. Forse è proprio questa la caratteristica più bella del libro: la realtà raccontata è la dimensione nella quale la storia del Piemonte affonda le proprie radici. In un momento storico nel quale molte solide certezze dimostrano tutta la loro labilità è importante riconoscere le proprie radici, fatte di fatiche e sacrifici, ma anche di buonsenso e tantissima saggezza, quel magico connubio capace di donare qulla serenità che il nostro presente pare aver perduto tra i profitti economici e le pagine di migliaia di leggi.
Mi è piaciuto molto, in quanto l’autore è riuscito ad approfondire un tema delicato e interessante senza rendere mai la lettura noiosa. Ne consiglio la lettura a tutti, ma per chi è piemontese o ha un forte attaccamento alla terra è assolutamente indispensabile.
Se fosse una canzone “Cavalier Faidit” di Lou Dalfin.

mercoledì 30 aprile 2014

Chi comanda Torino – Maurizio Pagliassotti



Il titolo di questo libro è già per conto proprio un sottile spunto di riflessione: “Chi comanda Torino” è un’affermazione che cela l’identità di qualcuno a fronte dell’evidente potere, ma può anche essere visto come una domanda con la quale evidenziare alla ragione del lettore il potere detenuto da pochi.
Non si tratta della solita pubblicazione cospirazionista, dove si parla di relazioni tra la massoneria, il Vaticano, gli alieni, la Banda della Magliana, l’FBI e le profezie dei Maya, ma di una fotografia ben circostanziata nei luoghi e nelle date degli ultimi vent’anni di vita di questa città. Nei riscontri forniti dall’autore possono trovare conferma tanti sospetti nati da troppe constatazioni di decisioni operate lontano dall’interesse popolare, che il lettore può essersi fatto nel corso degli ultimi anni.
Si parla di tutto, dalle Olimpiadi 2006, al TAV, ricordando la politica delle grandi trasformazioni urbanistiche, prima fra tutte la riconversione conseguente alla chiusura della Fiat.
Nella spiegazione si alternano nomi, luoghi e date, e quello che emerge è fin troppo chiaro: la storia continua! L’analisi offerta termina con la primavera 2012, e ad oggi i recenti episodi, che hanno contraddistinto le cronache politiche e amministrative, sono soltanto una conferma all’interpretazione offerta dall’autore.
Chi non vuole credere a qualcosa di diverso da quanto offerto dall’informazione dei quotidiani piemontesi lasci perdere questa lettura: non è questione di colore politico e pur non trattandosi dello sfogo di uno sconfitto, è un’interpretazione che comunque è soggetta al vecchio principio per cui nessuno è più sordo di chi non vuole sentire. Chi è contento di come vanno le cose non lo legga, continui a dormire sonni tranquilli: le pecore sono nell’ovile e i lupi cattivi non esistono.
Ognuno si faccia l’idea che ritiene più appropriata, e questo libro offre soltanto alcuni elementi in più su cui riflettere.
Se fosse musica “O Fortuna” interpretata dal grande Carl Orff.

mercoledì 15 gennaio 2014

Sono chi desidero essere … e non faccio caso alle lettere nere… - Anna Elena Gerardi



Ho letto questo romanzo per caso, dopo averne trovata una copia abbandonata sul treno regionale che collega Savona a Genova.
Si tratta del primo romanzo di questa giovane scrittrice, che già dalle note in copertina lascia anticipa il tema della narrazione.
Il romanzo è molto ben scritto, con una storia presentata in modo molto originale, giocando sul ruolo di una psicanalista che raccoglie le confidenze di una propria paziente: la narrazione si articola intorno alle scelte che una donna può trovarsi ad operare, molte volte anche drastiche circa la compatibilità di carriera, famiglia, passione, passato. Nasce così la volontà di riconoscersi in Penelope, spregiudicata e passionale donna in carriera, oppure in Anastasia, tranquilla e dimessa, alternando decisioni e ruoli che spesso di confondono e sovrappongono.
Un uomo potrà certamente riconoscere tanti comportamenti già visti nella propria vita reale e ritenuti assurdi, ma non sarà la lettura di questo libro ad aiutare nella comprensione dell’universo chiamato “donna”. La lettura è appassionante, ma dopo un certo punto la narrazione diventa confusa, mischiando la protagonista con il suo alterego talmente bene da non lasciare più comprendere cosa stia realmente succedendo.
Il finale costringe il lettore con il fiato sospeso fino all’ultima riga, regalando una conclusione che purtroppo, nonostante l’abbia riletta più volte, non sono riuscito a comprendere, come peraltro non ho capito a cosa si riferiscano le lettere nere citate nel sottotitolo.
Forse è proprio l’intenzione dell’autrice lasciare un velo di mistero, o forse per capire le donne è necessario non essere un uomo… chissà, in ogni caso la lettura non è stata impegnativa, ma nemmeno divertente, e a questo punto mi viene il sospetto che la copia che ho letto non sia affatto stata dimenticata.
Se fosse una canzone mi viene in mente solo “WWW Mi piaci tu” di Alexia.